Apr 26, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

In What We Trust

Pubblicato in Editoriale
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Spesso si ha come l’impressione che tutto accada molto rapidamente, troppo semplicemente, senza nessun motivo plausibile e senza alcun significato vero. In diversi casi sembra quasi che la causa preceda l’effetto per pura provvidenziale avventura.

 

Il mondo assomiglia a un giocattolo, la vita stessa - degli animali, degli alberi o degli stessi esseri umani, poco cambia - una cosa tanto vuota quanto eventuale e precaria. Quello che si osserva appare pura forma e talvolta, che sia davanti al ridicolo, o che sia per effetto della mostruosità di alcuni frangenti, vacilla il senso della realtà. Dico realtà, beninteso, riferendomi a qualunque realtà possibile, comechessìa, e forse sarebbe preferibile dire concretezza e verità. In verità, il discorso sulla verità viene affrontato e risolto, per lo più, a beneficio delle persone comuni come noi, con tale artificiale sufficienza da risultare a tratti grottesco. Qualcuno tra gli eventuali lettori di queste righe ricorderà quanto si scrisse e si disse in giro, solo qualche mese addietro, verso la metà del novembre scorso, quando fu annunciato che la nuova parola dell’anno individuata dallo staff degli Oxford Dictionaries risultava essere “post-truth”, termine definito come “connotante circostanze in cui l’oggettività dei fatti influisce sull’opinione pubblica meno delle emozioni e del convincimento personale”. Seguì breve dibattito, al quale presero parte con una riga ciascuno, post mortem, a beneficio dei rotocalchi anche più popolari: Aristotele, Platone, Tucidide, Nietzsche, Foucault e mille altri. Le conclusioni, mai formalizzate, furono che della verità, per la verità, importa poco a nessuno. In concreto, la concretezza non se la passa meglio. È tutto troppo fluido, troppo veloce, perché si possa tentare di toccare con mano. I nostri occhi vedono troppe immagini, troppi suoni, troppe voci ci giungono da ogni dove. E noi ci abituiamo a tutto. Quanto siamo davvero consapevoli, cosa stiamo davvero comprendendo, e trattenendo, del mondo e della nostra stessa esperienza? I grandi fabbricatori e i mercanti di contenuti, che formano un trust, dispiegando oggi un potenziale tecnico inimmaginabile anche solo cento anni fa, ci somministrano continuo nutrimento per le nostre emozioni e per il nostro convincimento personale, avendo cura di scrivere sulla scatola “fatti oggettivi”. Questo nutrimento, tra le tante controindicazioni, annovera un sicuro effetto soporifero. Tanto che, diligentemente, generalmente si sconsiglia di mettersi alla guida della propria vita durante l’assunzione. Meglio è, par di capire, affidarsi ai conducenti/condottieri pubblici e di professione e amen. Tutto pare condurci verso l’assuefazione, l’astrazione, l’irrealtà, la sospensione, la relatività. Fanno buon gioco la reiterazione, la ciclicità, le ritualità. I più duri, o semplicemente i più ottusi, in questo alveare sociale dai contenuti predigeriti e uguali per tutti, uguali proprio anche nei meccanismi di personalizzazione, debbono - inconsapevolmente - sopportare l’urto di pratiche che sembrerebbero favorire la dissonanza cognitiva, se non fosse che a dirla così si rischia d’esser presi per visionari. Niente di nuovo, insomma. Non dovete credere a chi scrive, fate un gioco. Cosa avete letto in giro anche solo negli ultimi giorni? Il 29 aprile le autorità turche hanno bloccato l'accesso a tutte le versioni linguistiche di Wikipedia, impedendo a milioni di persone di accedere a informazioni storiche, culturali e scientifiche neutrali e munite di fonti verificabili. E però la Turchia è lì che bussa per entrare nel cuore dell’Europa. È normale? Diversi tra i leader che guidano i maggiori Paesi europei non hanno figli. Dalla Gran Bretagna al Lussemburgo, dalla Francia all’Olanda, e ovviamente all'Italia. Non hanno figli. Se non fosse un caso, avrebbe un senso? E lasciamo perdere le sciocchezze sulla difficoltà di far carriera o sulla metafora del continente che invecchia. I manager tedeschi della ThyssenKrupp, ritenuti responsabili di omicidio colposo plurimo per la morte di sette operai tra il 5 e il 6 dicembre 2007 a Torino e condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione un anno fa, non sono ancora in carcere. Perché? Manca la - necessaria - traduzione della sentenza dall’italiano al tedesco. È ridicolo o è mostruoso? O niente di tutto ciò? Gli sbarchi continui di migliaia e migliaia di persone da altri continenti (“migranti” è neolingua, a mio parere) non possono mai in alcun modo essere impediti, limitati, regimentati, governati. Mai. Tranne però che nella settimana in cui c’è il G7 a Taormina. Allora sì, anche le profonde ragioni umanitarie dovranno cedere il passo alla logistica. Perdura l’incertezza su chi lancerà un attacco nucleare preventivo: se quello che ha mezz’ora di tempo o quello che ha solo un quarto d’ora per premere il bottone. E noi? Chi aveva chiesto il crodino? L’elenco è lungo, provateci. Non crederete a voi stessi. Confesso che sono di quelli che trovano conforto a mettere il naso nei vecchi libri. Non i libri antichi, proprio quelli vecchi, vecchi e basta. E allora, in un vecchio volume che non so se sia corretto definire di critica letteraria, dove in quarta di copertina trovo la stupita osservazione che “proprio dal paese del realismo socialista veniva dunque l’incitamento a considerare la creazione artistica indipendentemente dai suoi presupposti psicologici, sociologici, politici” (Viktor Sklovskij, Una teoria della prosa, Garzanti, luglio 1974), trovo la citazione di un passo dei diari di Lev Tolstoj: “Se la vita di molti uomini, con tutta la sua complessità, scorre inconsapevolmente, è come se non ci fosse stata”. L’autore del saggio, a sua volta, avverte: “L’automatizzazione inghiotte tutto: cose, abiti, mobili, la moglie e la paura della guerra. […] Per risuscitare la nostra percezione della vita, per rendere sensibili le cose, per fare della pietra una pietra, esiste ciò che noi chiamiamo arte. Il fine dell’arte è di darci una sensazione della cosa, una sensazione che deve essere visione e non solo agnizione.”. Il trust smercia, invero, anche scatole di alimento con su scritto “arte”. Ma che diavolo, bisogna davvero dirvi tutto?

Rocco Infantino

Rocco Infantino

Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.

Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.

Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.

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