La parola chiave del nuovo numero è: propaganda.
Tutto parte da un’incursione, per così dire, nell’Istituto Luce, L'Unione Cinematografica Educativa, fondato agli inizi degli anni ’20 dal giornalista Luciano De Feo, allo scopo di alfabetizzare la popolazione italiana. L’Istituto nel 1925 subì una trasformazione e divenne ente morale di diritto pubblico e, attraverso il regio decreto-legge n. 1985 del 5 novembre 1925, divenne strumento educativo e propagandistico del regime mussoliniano. Due anni più tardi, nel 1927, venne creato il cinegiornale Giornale LUCE, l’antesignano del telegiornale, con l’indicazione di essere proiettato obbligatoriamente in tutti i cinema d'Italia prima della proiezione dei film. Da quel momento in poi, tutta l’impresa italiana, compresa quella coloniale, venne raccontata attraverso le immagini su cui l’Istituto Luce rivolgeva i propri proiettori. Si magnificava l’eroica politica espansionistica del regime, accrescendo il valore delle campagne che si andavano organizzando. Fu una questione di luci e di ombre. Di cosa raccontare e di cosa omettere. Di come raccontare ciò che finiva sotto i riflettori. Ma quello che rimaneva nel cono d’ombra, chi lo raccontava?
Fu così, ad esempio, che il Luce raccontò, con un documentario dettagliato, la battaglia per la conquista dell'Amba Aradam sul fronte eritreo. Qui, sulla montagna della parte settentrionale del Corno d’Africa, si consumava un grande genocidio. Era il febbraio del 1936. La battaglia, condotta dal maresciallo Badoglio, fu cruenta, vennero utilizzati anche bombe a gas (granate all’arsina) che contribuirono in maniera definitiva ad annientare l’esercito etiope, compresi i civili che, come in tutte le guerre, pagarono le conseguenze di conflitti non voluti. Le immagini della conquista di questa fetta di territorio del continente africano venne quindi proiettata in tutte le sale cinematografiche italiane, magnificando la vittoria italiana dell’altipiano. Si trattò di una battaglia confusa e confusionaria in cui i soldati italiani inseguirono le colonne in fuga lungo il territorio in seguito colonizzato.
E la battaglia di Amba Aradam divenne un ambaradan e il genocidio si trasformò in un gioco linguistico.
Cosa accade alle informazioni quando perdono la loro origine? Dove avviene la loro mutazione? Quando le notizie diventano frottole? C’è un bellissimo saggio, che un caro amico ha sottoposto alla mia e alla nostra attenzione, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914 – 1915) e riflessioni (1921), di Marc Bloch, Fazi Editore. Lo storico francese, Ufficiale di fanteria durante la Prima guerra mondiale, affronta il tema delle guerre e (del pericolo) delle memorie trasmesse. In particolare, ci mette in guardia contro il rischio delle “false notizie” che lentamente hanno pervaso e permeato l’immaginario collettivo. Testimonianze inesatte e osservazioni imprecise sono le principali cause dell’insorgenza dell’errore e trovano in particolari contesti sociali, facilmente permeabili, terreno fertile alla loro propagazione. I fatti di Amba Aradam si inseriscono in un’altra logica, che è altro rispetto alla psicologia della testimonianza di cui parla l’autore delle Annales d’histoire économique et sociale. In quel caso si adoperano alcune informazioni per mandare altri messaggi, si manipola la notizia, in quel caso per dimostrare la grandezza dell’esercito italiano e la finezza della politica coloniale. Si mostra e si racconta ciò che è speculare al raggiungimento dei propri fini.
Dalla falsa notizia alla propaganda, poi, il passo è breve. Quale verità allora? Attualizzando il pensiero di Marc Bloch, che intravvedeva una fioritura dei falsi racconti proprio all’interno delle trincee, la nostra società, che al contrario è un reticolo di maglie strette, opera per la formazione di un’opinione incanalata verso determinati assiomi. Ovviamente il tema è ampio e ricco di insidie, ma abbiamo voluto incamminarci per questo sentiero coscienti degli stimoli che la società nella quale viviamo ci pone quotidianamente. Il nostro peregrinare si limita ai campi di indagine della nostra rivista, e come sempre ci interroghiamo sull’uso delle parole e sul valore del confronto in un tempo in cui i toni, spesso elevati, tramortiscono le intenzioni più innocue e più genuine. E le mortificano, come nel caso dell’amministratore incosciente che ignora (nel senso che non conosce) le norme ma che per non perdere di credibilità parla e promette. E crea solo un grande ambaradan. Nel senso che consuma, a sua insaputa poverino, un crimine contro la società.
Eva Bonitatibus