Apr 26, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

L’insurrezione quantistica - quel che resta del sapere

Pubblicato in Scrivere
Letto 886 volte

scrivere 1

Intuitivamente, soltanto intuitivamente, avendo come prospettiva di tappa verificare cosa stia diventando il libro nello scenario contemporaneo, guardandolo come veicolo del sapere o dell’esperienza e della narrazione che si fa dell’uno e dell’altra, mi proponevo qualche lettura che mi orientasse per l’appunto su quella cosa che chiamiamo “il sapere”, quando giochiamo a fare gli intellettuali.

Una delle scelte possibili era La condizione postmoderna - Rapporto sul sapere (Feltrinelli, 2° ed. 2015) di Jean-Françoise Lyotard, considerato un testo fondamentale, in certi percorsi culturali, una sorta di pietra miliare. Prima di leggerlo, immaginavo che il campo di studio fosse il rapporto tra i processi tradizionali di formazione e la distribuzione, per dirla come un produttore di panettoni, del pensiero creativo e del pensiero scientifico, e non avevo invece messo in conto che mi sarei potuto trovare davanti qualcosa di più complesso, davanti una verità più estesa. In effetti, Lyotard è filosofo conosciuto, il volume quarto della Storia della filosofia di Nicola Abbagnano (ed. UTET), che tante gioie dispensa ogni volta che solo ne corro l’indice, dedica al postmodernismo un intero capitolo (il XXIX) e tre diversi paragrafi alla condizione postmoderna da lui descritta, al rapporto tra essa ed il cosidetto “pensiero debole”, ed alla critica, infine, agli epiloghi del suo pensiero e delle posizioni di altro filosofo, quel Gianni Vattimo che del pensiero debole è autore centrale. Il saggio breve, commissionato dal governo canadese, fu pubblicato per la prima volta nel 1979, epoca remota nella quale, per intendersi, dalle nostre parti la Fiat 127 era l’automobile leader del “segmento B” del mercato. Questa sua datazione conferisce un che di profetico a quanto è contenuto nel volume, non tanto perché non fossero già in quegli anni ben delineati i caratteri della società postindustriale, ma piuttosto perché gli scenari di oggi, quasi quarant’anni dopo, mostrano una notevole precisione di dettaglio in molti elementi, oltre che una coincidente prospettiva di fondo. Scorrendone le prime pagine, occupate da quella che l’autore propone come una ipotesi di lavoro, si assume che uno dei temi centrali è che la trasformazione generale indotta dalla moltiplicazione delle macchine per il trattamento delle informazioni non avrebbe lasciato intatta la natura stessa del sapere. Il sapere si sarebbe trasformato, magari io direi degradato, in quantità di informazioni, più adatte a circolare nei nuovi canali e a formare merce di scambio per la produzione di altre informazioni. Le stesse strutture sociali, quelle che allora, con un linguaggio che oggi potrebbe apparire romantico, ancora venivano definiti Stati-nazione, si sarebbero preparate a battersi per il dominio dell’informazione, proprio come tradizionalmente è per il dominio dei territori e delle risorse materiali. Si sarebbe arrivati a un punto in cui, proprio come già in precedenza per la libera circolazione dei capitali che avrebbe dovuto favorire il formarsi di imprese multinazionali, la libera circolazione delle informazioni, non mediata neanche dagli Stati, avrebbe costituito degli aggregati significativi in capo ad altri soggetti. La società postmoderna, banalizzando perché ne capisco di filosofia quanto di apicoltura, nel mentre avrebbe modificato la qualità delle informazioni e i rapporti tra i soggetti delle informazioni, mettendo gli stessi Stati al pari degli altri e non più in funzione regolatrice, avrebbe finito per modificare anche l’orizzonte ideale entro il quale la quantità delle informazioni, sostituitesi al sapere, si sarebbero ascritte. Non più un punto più avanzato da raggiungere, non più un progresso come destino, ma una produzione finalizzata allo scambio di informazioni ritenute utili. Le narrazioni, ogni tipo di narrazione, quella etica, quella epica e quella politica, ma anche quella scientifica, che trovavano all’interno del meccanismo con il quale si perpetuavano, si tramandavano, la propria fondante legittimazione, confermate da una persuasiva prospettiva teleologica, sarebbero state destinate ad esaurirsi. Le informazioni si sarebbero semplicemente divise tra quelle che potremmo dire oggetto di consumo e quelle riservate ai decisori: “chi decide cos’è il sapere, e chi sa cosa conviene decidere?”. La società postmoderna conduce all’armonizzazione dei bisogni e delle domande, ma si nega una prospettiva di progresso; semplicemente, il criterio regolatore diventa quella che l’autore definisce come la “performatività”, l’ottimizzazione cioè del rapporto tra input e output del sistema, di ogni sistema. L’informazione è funzionale, quindi accettata, se mira - non più, non già alla verità, alla elevazione, al progresso - alla performatività. La società diventa una grande macchina e il sapere è un elemento di funzionamento di questa macchina. Nello sviluppare le tesi di lavoro il saggio si sofferma sulle caratteristiche peculiari “autolegittimanti” del sapere narrativo tradizionale, per considerarle superate, e molto anche sul sapere scientifico e i suoi meccanismi interni di auto validazione, i quali anche, se non completamente sostituiti, sarebbero stati temperati, fortemente temperati anch’essi dalla funzionalizzazione dei risultati della ricerca alla performatività del sistema. Sono questi, tutti, temi che qui accenno soltanto perché sospetto che sarà utile, magari, richiamarli alla memoria e rileggerli con più lentezza in altri momenti di questo itinerare. La verità è che, secondo Lyotard, la condizione postmoderna, al crescere delle informazioni disponibili, non si presenti con un crescente bisogno di sapere quanto, invece, con una domanda crescente di oblio. Nella società e nella cultura contemporanee perdono allora credibilità sia il racconto speculativo che quello emancipativo. Questa visione derubricata del sapere investe l’attività propria di molti soggetti, riverbera su molte funzioni, con meccanismi nel saggio purtroppo anch’essi puntualmente descritti, per come poi, in questi anni, si sarebbero consolidati. Ripeto, quello di cui riferisco è solo un primo frammento di un discorso più ampio, che prosegue nel saggio e che però vedo estendersi, come argomenti correlati naturali, sia a tanti aspetti già toccati nelle letture che ho già proposto, così ad esempio il tema uomo/mondo sfiorato parlando dei libri per l’infanzia, così le modificazioni neuronali e funzionali del cervello per effetto dell’attività del leggere o non leggere, così con le particolari possibilità o tecniche di profilazione del lettore favorite dalle nuove tecnologie, così anche degli aspetti delle tecniche manipolatorie o censorie su determinati contenuti di opere e, con esse, in definitiva, del sapere, sia anche a diversi e ulteriori scenari nei quali, sempre tenendo la storia del libro come timone, già immagino ci si possa inoltrare. Non sono estranei a quest’ultimo aspetto orizzonti futuribili, ipotetici o distopici, ai quali accenni già si son fatti, e che ci parlino attraverso questi elementi che andiamo raccogliendo. Qui per il momento mi interrompo, non avendo esaurito quello che vorrei dire ma di ciò non mi dolgo, perché su queste cose la vedo da sempre secondo l’insegnamento di Parmenide. To be continued…

Rocco Infantino

Rocco Infantino

Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.

Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.

Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.

Altro in questa categoria: Il paese dei segreti addii »

Commenti