Il sapere è un abito bellissimo
Il titolo che ho voluto dare all’editoriale che segna la fine del primo anno di vita della testata giornalistica www.goccedautore.it e l’inizio del secondo l’ho tratta da una celebre frase di Umberto Eco. Lo scrittore scomparso la settimana scorsa, che tutto il mondo ha celebrato ricordandone la figura di intellettuale e ripercorrendone la produzione letteraria, ha segnato la nostra epoca per raffinatezza e compostezza del pensiero. Diceva che “Il sapere non è come la moneta, che rimane fissamente integra anche attraverso i più infami baratti: esso è piuttosto come un abito bellissimo, che si consuma attraverso l’uso e l’ostentazione. Non è così infatti il libro stesso, le cui pagine si sbriciolano, gli inchiostri e gli ori si fanno opachi, se troppe mani lo toccano?” Un amore viscerale per i libri e per la cultura, quella che si costruisce giorno dopo giorno approfondendo la conoscenza, ampliandola, demolendola, ristrutturandola e accrescendola. Sapere quindi è il bene supremo cui l’uomo deve tendere per orientare diversamente la propria esistenza e per garantire la propria libertà, senza compromessi o accordi spuri.
La scelta avvenuta nei mesi scorsi di fondare una propria casa editrice dopo aver lasciato la Bompiani facente parte della galassia Rcs Rizzoli finita poi nelle mani di Mondadori, sottolinea lo spirito libero di Eco e la sua necessità di conservare un’identità. Al cospetto di Mondazzoli (dalla fusione di Mondadori e Rizzoli) è nata La nave di Teseo, questo il nome della casa editrice fondata dal semiologo filosofo e scrittore italiano con Elisabetta Sgarbi, Tahar Ben Jelloun, Sandro Veronesi e Edoardo Nesi, Furio Colombo, Pietrangelo Buttafuoco, Nuccio Ordine. Un passaggio importante a salvaguardia della miriade di piccole case editrici che popolano e alimentano il mondo del libro in continua evoluzione. L’immagine stessa utilizzata come nome della casa editrice, La nave di Teseo, è la metafora dell’identità che muta con il tempo. Il vascello del mitico re e condottiero ateniese perdeva pezzi durante la navigazione, e ogni pezzo veniva sostituito con un altro, simile ma non identico. Alla fine la nave non era più la stessa, ma ha continuato a navigare fino al nuovo approdo. E il senso è proprio questo: la nostra identità non è immutabile, si modifica nel tempo. Che in termini ancora più semplici significa che per rimanere se stessi bisogna essere disposti a mollare gli ormeggi, ad affrontare l’ignoto, a rischiare, a vivere luoghi sconosciuti, insomma a perdersi per poi ritrovarsi, a smarrirsi senza mai perdere la memoria di ciò che siamo. Per tornare più forti di prima ed avere maggior slancio verso nuovi progetti. Ecco, i nuovi progetti. E’ verso quest’ultimi che dobbiamo tendere con sempre maggiore consapevolezza ed entusiasmo, scegliendo le persone giuste con le quali condividerli e facendo attenzione a non dimenticare mai da dove veniamo e ricordando in primis a noi stessi dove vogliamo andare: L’isola del giorno prima.
Eva Bonitatibus