Mar 29, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

L’amore comunque.

Pubblicato in Editoriale
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amore1Qualche giorno fa, nella mia città è venuta a mancare una signora. Non giovane né tanto anziana, l’informazione locale probabilmente non se ne sarebbe interessata se non fosse che, per le solite vie della banalità del male, la donna era stata travolta da un’automobile su un marciapiede. Poche righe in cronaca e una foto della vittima. Quel volto non mi era nuovo. Debbo tornare indietro di trent’anni. Quasi ragazzi, alcuni amici ed io una volta organizzammo in città una improbabile mostra di opere d’arte varia realizzate dagli studenti rigorosamente durante l’orario di lezione: opere figlie della noia, della distrazione, della fantasia o della protesta, della vacuità, del genio, vandalismo, fate voi. Goliardata. L’esposizione durò per diversi giorni e già dal primo, tra i molti, lei. La signora tornò anche il giorno seguente, quasi verso l’orario di chiusura. Riprese ad osservare qualcuno degli oggetti esposti, poi stette in un canto qualche minuto, finché, fattomi più vicino a lei, potè dirmi: “Posso venire anche domani?” C’è un articolo del The Guardian del 6 febbraio scorso, ripreso da un amico sulla propria bacheca Facebook, inserito, mi pare, in un reportage con il quale quel giornale racconta, attraverso le voci del personale addetto, dei tagli a certi servizi pubblici e del contemporaneo aumento di certa domanda, che parla di quello che sono diventate, o stanno diventando, ad altre latitudini, le biblioteche pubbliche. Ci sono disoccupati di mezza età che ci vanno per farsi aiutare a compilare domande di lavoro on-line, o digitalizzare dei documenti; ci sono genitori che portano bimbi anche molto piccoli e che hanno bisogno non soltanto di attività di prima alfabetizzazione o per lo sviluppo del linguaggio, ma magari domandano di iniziative semplicemente socializzanti e magari gratuite. Così, continua l’articolo, quelle strutture finiscono per ospitare corsi d'arte, tè danzanti, servizi complementari di supporto agli anziani. Diventano insomma luoghi di incontro e contribuiscono così a fronteggiare il crescente rischio di isolamento sociale cui, specie in questi periodi di crisi indotta, sempre più persone sono esposte. Qualcuno arriva a riferire al bibliotecario: “Tu sei l’unica persona con la quale ho parlato per tutto il giorno”. Dove va il nostro mondo? Vuoi un libro? C’è Amazon. Cultura? Socializzazione? Pizza, palestra, salsa, merengue. Sei ricco? Ok. Povero? Caritas. Socializzare non è soltanto convergere in un punto, io credo. Così fosse, basterebbe organizzare più spesso incendi nei grandi hotel. E partecipare alla vita e alla vita culturale di una comunità, dove comunità c’è, non è comprare un prodotto, libro, film, concerto, una o venti volte al mese. Credo sia poter prestare orecchio, e talvolta provare anche la propria piccola voce, in un dialogo continuo. Avere modo, avere luogo. In qualunque condizione sociale o personale si versi. Sempre, comunque. Non mi trovo mai a mio agio a spendere parole importanti, ma se dovessi parlar d’amore in fatto di  cultura, magari direi questo. L’amore non è necessariamente continuità, si danno gesti d’amore tanto assoluti quanto immediati, fulminei ed anzi irripetibili. Proprio così ogni singola opera dell’arte, magari.  Ma in questi fatti, la continuità è una forma di amore.

Rocco Infantino

Rocco Infantino

Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.

Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.

Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.

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