Apr 26, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

Il cornetto Algida

Pubblicato in Racconti Inediti
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inedito c1Che prepotente quel sole di primavera. Penetrante quasi fosse dentro l’estate. Al mio corpo di bambina sembrava arrogante, mentre accompagnavo mio padre che lavorava all’Inps. Dal rione Santa Maria, dove abitavamo, saliva in Via Pretoria, sempre a piedi, tutti i santi giorni. Era bello in quel suo incedere pellegrino. Abitavamo in una casa alla quale allora aggiungevano sempre l’aggettivo “popolare”, con tono un tantino dispregiativo. Per noi era una reggia, come la definiva mia madre.

Per lungo tempo avevamo abitato in un buco di casa a piano terra in Vico Addone, in cinque. Mio fratello, mia sorella ed io eravamo piccoli e avevamo voglia di spazio...tanto spazio...di aria...tanta aria...Mio padre arrotondava lo stipendio facendo ore di straordinario anche quando non erano giornate di rientro. A volte lavorava di domenica mattina: voleva darci spazio, aria, gioia di esistere.

Ogni pomeriggio, anche se era la controra, lo accompagnavo per un breve tratto di strada, dal portone di casa al piazzale della chiesa di S. Maria del Sepolcro. Mi inebriava l’aria dolce e profumata di primavera. Era il preludio di una stagione rassicurante: sapeva regalarmi spensieratezza e libertà a piene mani.

L’accompagnavo non proprio per amore...o non solo per amore.

Il mio amore finiva davanti al bar “La Rocca” di fronte alla chiesa, esattamente innanzi al contenitore dei cornetti “Algida”. Il gelato che ogni bambino desiderava. 

Una novità. Una ghiottoneria che non tutti potevano permettersi.  

Il suo impasto era di mandorle cioccolato e panna, immersi in un cono croccante. Alla punta il piacere di un pezzettino di cioccolato fondente: si scioglieva lentamente nella bocca che diveniva una piccola cioccolateria.

Una vera goduria!...

Uscivo dal bar con il gelato in mano. Papà aspettava che attraversassi la strada, anche se le automobili passavano ogni morto di papa, e  proseguiva verso l’ufficio. E ora eravamo solo io e lui. Io e Algida pronti a vivere un piacere che ogni giorno aveva una sfumatura diversa. Ed era la ricerca di queste sfumature che rallentavano il movimento delle lancette del tempo. inedito 2

Quei momenti, riti indimenticati e indimenticabili, sono ancora oggi impressi dentro me insieme ai profumi, ai sapori, che mi riportano magicamente in via Ciccotti, quando la nostalgia di Algida mi assale.

Un giorno questa magia finì per sempre. Mia sorella, più grande di me di due anni, e più scaltra, mi chiese perché tornassi ogni giorno a casa con il gelato. E a cosa fosse dovuta la generosità di papà.

Aveva intuito che c’era qualcosa di strano. Era convinta che il gelato fosse una contropartita a qualcosa che le sfuggiva. Le dissi tutta la verità: papà mi chiedeva quanto tempo dedicava allo studio mio fratello, che frequentava il quarto ginnasio... a che ora usciva di casa e, se quando rientrava riprendeva a studiare. Mia sorella brutalmente mi disse: “Sei una spia! Ti vendi per un gelato e non ti rendi conto che se Franco non dovesse essere promosso, papà lo punirà pesantemente. Tutto per colpa delle tue soffiate”.

Ero sconcertata. Non potevo crederci: io una spia?...  Avvertii un senso di colpa troppo grande per  i miei cinque anni.  Non sapevo cosa fare, con chi confidarmi. Di notte iniziai ad avere degli incubi. Ero agitata. Mi giravo e rigiravo nel letto e a volte gridavo. Mamma spesso mi svegliava; cercava di  rassicurarmi senza capire il motivo del mio malessere. Avvertivo un peso alla bocca dello stomaco di cui non riuscivo a liberarmi. Ricordo che facevo fatica a mangiare. Io che ero un’ingorda.

Si sa: i bambini ingigantiscono ogni cosa nel male e nel bene. Ed io vedevo una montagna enorme davanti i mie occhi che  impediva la soluzione al mio problema. Mio fratello era tanto affettuoso con me. Mi dava dei pizzicotti sulla parte esterna delle mani cicciottelle, poi  me le baciava con una tenerezza infinita. Come avevo potuto tradirlo per un cornetto Algida? Rinunziai al gelato. Soffrivo spesso di mal di pancia, il medico mi aveva diagnosticato l’appendice infiammata. La scusa funzionò. Ogni sera comunque si ripeteva il rito del rapporto su mio fratello. A mio padre cominciai a raccontare bugie. A qualcuno dovevo pur  mentire.

Per quanto la mia testolina  fosse confusa, una cosa mi era chiara: un fratello va difeso sempre e comunque. Con il passare dei giorni mi convinsi che sarebbe stato giusto confessare  le mie inquietudini a padre Daniele, parroco della chiesa del di Santa Maria prima dell’inizio del catechismo. Era un monaco che ispirava tanta fiducia ed era molto amato dai più piccoli. E così feci.

Un pomeriggio di mezza estate, lo aspettai in sacrestia. Ero tesa. Mi venne incontro con un sorriso che spazzò di botto i  miei sensi di colpa. Una carezza sui capelli e il rosario che mi regalò dopo il primo accenno di confessione restituirono la serenità ai miei anni. Quel momento è rimasto scolpito nel mio cuore.

Quell’anno mio fratello fu promosso. Mio padre gli concesse la sua prima vacanza al mare. Partì per dieci giorni con il camper del padre di Tanino, il suo amico del cuore, alla volta di Ginosa Marina. Tornò felice e abbronzato. Ed io ero felice più di  lui.

L’estate sembrava non voler cedere il passo all’autunno. Il mio primo giorno di scuola era a pieno sole. La mattina, non lo dimenticherò mai, mio fratello, mi regalò una penna  sfera “Bic”. Un regalo  che mi fece sentire importante. La prima  parola che imparai a scrivere fu il suo nome: Franco.Quella penna, ancora oggi  è il segnalibro dei miei pensieri.

Carmen Cangi

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