Una funzione che seguita ad assolvere attribuendo agli artisti il delicato compito del racconto per immagini: stigmatizzare i momenti, gli eventi, i luoghi, ciascuno con il proprio linguaggio e la propria cifra stilistica. Anche in questo momento l’arte continua a narrare l’epoca in cui viviamo con le sue fragilità e le sue contraddizioni. Tra tanti il pittore Pasquale Palese, artista potentino dalla consolidata attività artistica, che ha dato vita ad una antologica dedicata al paesaggio.
I suoi paesaggi raccontano il silenzio. Si nutrono di una dimensione rarefatta e surreale che domina lo spazio mentre i vuoti si riempiono di presenze assenti. Composizioni fatte di segni che svelano un’umanità apparente e dolente collocata in luoghi desolati e sparuti. Colline morbide su cui sono disposte in un equilibrio quasi precario case e alberi dalle tinte forti e cupe. Il colore materico da forza e concretezza all’assordante silenzio che, accanto all’assenza dell’uomo, è il protagonista delle opere d’arte. Una distanza tra la natura e la cultura, nature versus nurture, che allontana, annienta legami e relazioni. Case disabitate che nel gioco della profondità e della prospettiva risultano in primo piano rispetto ad una natura che le sovrasta e le avvolge. Isolati nel tempo dell’eternità, questi paesaggi immoti celano significati profondi insiti anche nell’uso del colore. Il rosso, che in taluni quadri è lo sfondo (il cielo) e in tal altri le case, è simbolo di vita, di affettività profonda, di forza, di passione.
La chiave di lettura dei paesaggi di Pasquale Palese è la contemplazione dell’eternità nella sospensione della vita. Assorti nell’osservazione dell’opera, si può ascoltare la voce del silenzio che fruscia tra gli alberi lontani e tra le mura delle case a ridosso del margine. Si assiste ad un una sfilata di teatri dell’assenza, spazi vuoti in cui la presenza umana non si svela mai, ma si avverte solo come incombente arrivo o recentissima partenza. L’artista crea un nuovo alfabeto, quello che ci parla dentro e ci sussurra che lo scorrere del tempo non scolora i paesaggi, non invecchia l’anima, non cancella la bellezza. Una bellezza sospesa tra echi ancestrali e nuove visioni alla ricerca di sinestesie poetiche. Si attivano percezioni sensoriali che permettono di interagire con l’opera e di comprenderne l’origine.
Luoghi dell’anima che rimandano a quella Lucania arcaica tanto cara a Italo Squitieri, pittore impressionista del ‘900, di cui Palese è un grande estimatore. I limiti della Lucania sono tutti presenti nelle loro opere, quasi a rappresentare un grido di dolore che allora (1956) come oggi si alza dalle lande disperate di questa terra. Evidenti i riferimenti all’isolamento delle città presenti nel ciclo “Petra”, città isolata nel tempo, e al declino morale cui Squitieri faceva riferimento nel suo ciclo “Il potere”. Elementi presenti in Palese nelle opere “Il silenzio del tempo” e “Declino terrestre” in cui sottolinea l’abbandono e le criticità della terra. La sua pittura è un richiamo anche ai poeti che hanno cantato la Basilicata da Leonardo Sinisgalli a Rocco Scotellaro a Giulio Stolfi a Michele Parrella a Pasquale Totaro Ziella a Mario Trufelli che così chiude la sua “Lucania”:
Da noi il mondo è lontano,
ma c’è un odore di terra e di gaggìa
e il pane ha il sapore del grano.
I paesaggi di Palese hanno il profumo della poesia, l’essenza della caducità, la consistenza della fragilità, il suono della dimenticanza, la bellezza dell’immensità.
Eva Bonitatibus