Con la consueta eloquenza, il filosofo Umberto Galimberti accompagna il ricercatore curioso all’interno di una cosalità, che non è domanda causale, ma quasi rivendica una autodeterminazione della materia!
Che cos’è il corpo, dunque, se non uno strumento unico e straordinario, attraverso il quale si ospita l’accadere di un destino, personale e del tutto irripetibile?
Dove risiede l’occasione reale per cui il corpo si confonda con il “qui e ora” che gli si verifica intorno, laddove «l’attimo e l’eternità non sono necessariamente in contrapposizione»?
Quante e quali sono le possibilità dell’esperire, che lo stesso può regalare, attraverso il filtro pentagonale dei sensi?
Numerosissime e assolute, per dirla con Erling Kagge, esploratore, alpinista, scrittore e collezionista d'arte norvegese, primo uomo a raggiungere il Polo Sud in solitaria. Nel suo saggio-capolavoro “Camminare. Un gesto sovversivo” (Einaudi) ha spiegato, con immagini di stupore e di meraviglia, le più arcane verità, collegate all’azione, al movimento dei corpi, lungo le superfici di quella terra, così casa e così spazio dell’imprevedibile.
«Imparare a camminare – esordisce nella prima parte del testo – forse è la cosa più pericolosa che facciamo nel corso della nostra vita. (…) Mettere un piede davanti all’altro, esplorare e spingersi oltre, sono azioni insite nella nostra natura».
Oltre l’istinto, dunque, c’è la lezione concettuale della parte e del tutto: «Fare conoscenza con ciò che ti circonda, richiede tempo. È come costruire una amicizia. La montagna giù in fondo, che si trasforma via via che ti avvicini, diventa una buona compagna ancor prima che tu l’abbia raggiunta. Gli occhi, le orecchie, il naso, le spalle, la pancia e le gambe le parlano e la montagna risponde. La vita dura di più quando cammini».
E ti consente una più squisita fruizione della fantasia, aggiungeremmo. Ma non solo. «Camminare può essere un piccolo viaggio di scoperta all’interno di noi stessi. È un insieme di movimento, umiltà, equilibrio, curiosità, odori, suoni, luci e – quando si va avanti a lungo – anche di nostalgia».
Sebbene non possa semplificarsi tutto a un processo di con-tatto, Kagge riconduce magistralmente alla necessità strutturale di riappropriarsi della sensazione nuda di collegamento (o anche comunicazione) con la base: «Cammino preferibilmente scalzo, in calzettoni o a piedi nudi. Sarebbe difficile da conciliare con un lavoro come il mio, però mi piacerebbe moltissimo camminare anche senza calze. Non solo per il benessere dei piedi, ma di tutto me stesso. Poter sentire parquet, cemento, tappeti, erba, sabbia, asfalto. Oppure muschio, aghi di conifere e sassi. Avvertire che i riflessi delle dita, dei metatarsi, dei talloni e delle caviglie migliorano. Che la pelle sotto i piedi, con tutti i punti collegati al resto del corpo, è più a stretto contatto con la terra. Così come è naturale che il corpo abbia bisogno della luce del sole, che la pelle goda del vento e che le orecchie afferrino i canti degli uccelli, anche i piedi andrebbero lasciati liberi».
Che si tratti di un bisogno di confluenza, di circolarità lo si capisce quando spiega: «Più cammino e meno sento la distinzione tra corpo, mente e ambiente intorno a me. Il mondo esterno e quello interno si sovrappongono. A quel punto, non sono più un osservatore che guarda la natura, ma tutto il mio corpo è coinvolto. La natura e il corpo sono fatti delle stesse sostanze. Ossigeno, carbonio, azoto e idrogeno. Anche per questo, non ci vuole molto perché il corpo diventi dinamico e interattivo; in quel momento, faccio esperienza di ciò che Merleau-Ponty (filosofo francese, ndr) definiva una prospettiva vissuta. La natura e il corpo acquisiscono una lingua comune e diventano un’unità».
Occorre, infine, ricordare che l’originaria (ancora discussa, peraltro) entità binaria (!) corpo/mente, trovi una sua raison d’être nello spazio di un “sentire”: «Io sono dove sento: sono altrettanto immediatamente nella punta delle dita, come nella testa … la mia anima è tutta nell’intero corpo e tutta in ogni sua parte». Un monito per iniziare un percorso, di visioni e di danze: «Camminare può significare vedere sé stessi, amare la terra e lasciare che il corpo si muova al ritmo dell’anima» - conclude Kagge.
Virginia Cortese