La riflessione ha occupato ampi spazi filosofici e ha attraversato le strade della storia, senza giungere (e ciò non dispiace!) a un compimento. A una definizione. Quindi a una limitazione. Ma se per molti versi, lo immaginiamo come percorso analitico di uno scorrere, di una successione brevissima di accadimenti, per altri la domanda di senso ci interroga su quanta correlazione ci sia tra il prima e il dopo, tra il passato e il futuro e quanto contratta sia la nostra visione di attualità. Di vivere qui e ora. Di ciò, e molto altro, si è occupato in uno straordinario e ispirato saggio dal titolo “L’ordine del tempo” (Piccola Biblioteca Adelphi), il prof. Carlo Rovelli, fisico teorico e membro dell’Institut Universitaire de France e dell’Académie internationale de philosophie des sciences. Elegante nella sua architettura, il testo, che ingloba anche la danza tra essere e apparire, parte da una riflessione essenziale: “Forse il mistero più grande è il tempo. (…) Il tempo funziona diversamente da come ci appare. (…) Strani fili lo legano agli altri grandi misteri aperti: la natura della mente, l’origine dell’universo, il funzionamento della vita. La meraviglia è la sorgente del nostro desiderio di conoscere, e scoprire che il tempo non è come pensavamo apre mille domande”. Una operazione che incuriosisce e che stimola a fare un viaggio “inseguendo la grammatica elementare del mondo”.
Lo sfaldarsi del tempo, Il mondo senza tempo, Le sorgenti del tempo: queste le tre case in cui si collocano perfettamente nomi e intuizioni, spiragli e arrese, accoglienze e perdite, in una modalità del tutto circolare che riannoda la fine all’inizio e che non ha la pretesa di dividere nettamente. Una indagine, in termini, che non dimentica caos e ordine e che si ritrova nello “scorrere uniforme e uguale in tutto l’universo, nel cui corso avvengono tutte le cose. Esiste nel cosmo un presente, un “adesso”, che è la realtà. Il passato è fisso, avvenuto. Il futuro, aperto, ancora indeterminato. Questo quadro familiare si è sgretolato, si è mostrato essere solo un’approssimazione di un’approssimazione di una realtà più complessa. (…) Gli avvenimenti non sono tutti ordinati in passati, presenti e futuri. Il mondo è quantistico, pertanto non ci sono né spazio né tempo, ma solo processi che trasformano quantità fisiche, le une nelle altre e di cui possiamo calcolare probabilità e relazioni”. Una rappresentazione suadente ed emotiva che lascia tracce e sensazioni, che ci consente (non fuori da una sorta di in-comprensione latente) di continuare ad abbracciare la nostra memoria e di conseguenza, le nostre nostalgie. “Questo spazio che viene aperto dall’anticipazione è il tempo, che forse talvolta ci angoscia ma che alla fine è dono. Un miracolo prezioso che il gioco infinito delle combinazioni ha aperto per noi. Permettendoci di essere. Possiamo sorridere”.
Una proiezione (non priva di speranza) che è per noi, un modo per superare l’irrimediabilmente compiuto e determinato e l’inafferrabile, e per guardare oltre. Mutuando l’etnologo, Marc Augé: “C’è una evidenza intima per cui il futuro è il tempo della coniugazione. È la vita che si vive individualmente”.
Virginia Cortese