Apr 19, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

Chi è capace di abitare la distanza?

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Nelle ore, difficili, drammatiche, che interrogano intere categorie ontologiche di spazio, tempo ed esistenza e che il mondo intero vive suo malgrado, nella guerra contro un nemico invisibile che non è certo l’Altro, una domanda di senso mi insegue: chi è capace di abitare la distanza?

 

Provando a credere in qualche concetto di supporto, mi pervade quello della casa. E mi rincorre anche quello di altro-da me.

Non è solo un esercizio dell’abitudine, suppongo; ritengo sia una misura della elasticità del pensiero di ciascuno. Certo, anche del modus di agire.

Una sorta di cartella di simboli, di estrazioni di visione cui aderisce chi è più allenato al silenzio, al raccoglimento, alla dimensione della dimora, alla selezione di paesaggi.

Come i Paesaggi dell’anima del filosofo, sociologo, psicoanalista e accademico, Umberto Galimberti, che ha spiegato con enorme perizia quanto questa attitudine dipenda dall’alterità dell’Io. Egli suggerisce che appena scegliamo il posto in cui vivere, la nostra casa per l’appunto, abbiamo contestualmente il richiamo forte del fuori, del luogo da cui (ri)partire per tornare; in “questo andirivieni, in questa oscillazione, trovano il significato l’amore, la malinconia, la fede, la parola, il pensiero”. Lontani dall’improbabile senso del Tutto, iniziamo ad abitare la distanza, attraverso tre figure (analizzate da Pier Aldo Rovatti, ndr), pudore, silenzio e gioco. “Questi tre custodi della saggezza possono difenderci da quella follia che, a parere di Nietzsche, investe quanti sono accecati dal troppo vedere e sono incapaci di udire ciò che è fuori dalle loro certezze”.

Nessuna parola è mai l’ultima. Non c’è serenità nel simbolo, né quiete nello sguardo, né conciliazione tra pensiero e passioni.

Ma che cos’è la distanza?

“La distanza è il modo in cui il pensiero può abitare il linguaggio – afferma Galimberti, che continua – le nostre vite sono molto più accidentali e casuali della perentorietà delle nostre parole e (…) abitare la distanza significa anche essere e trattenersi tra (stando in mezzo), essendo all’altezza dell’essenza dell’uomo stesso. Sono queste le figure che non concedono all’Io di coincidere, creando la distanza per cui chi dice “Io” si affida a un prestanome che dà parola a quella estraneità”.

È possibile la ricomposizione?

“L’intimità di noi con noi stessi – sottolinea Galimberti- indirizza la ricerca dell’altro come emblema di essa. Solo se abbiamo guadagnato quel costitutivo di noi stessi, allora e solo allora, abbiamo aperto lo spazio per l’altro. Per questo, occorre un’etica che sia familiare con il gioco; con il pudore, capace di stendere un velo sulla letteralità delle parole, in modo da sottrarle alla logica della identità e, infine, con il silenzio, che introduce l’attesa, che ci impedisce di risolvere ogni nostra azione in reazione”.

Gioco, pudore e silenzio si sottraggono al troppo vicino e al troppo lontano, dove le parole non si possono dire e non si possono sentire. “Scambiando continuamente la loro posizione, gioco, pudore e silenzio creano la giusta distanza che è tale perché aggiusta il nostro linguaggio all’oscillazione, all’equivoco, al fraintendimento. Così incerti circa la coincidenza della cosa con il nome che la nomina, la distanza diventa etica della ospitalità, cui sono negati quanti rappresentano un nomadismo senza possibilità di rimpatrio”.

Errare, dunque, custodendo una cifra-mosaico di mistero e di opportunità.

Virginia Cortese

Virginia Cortese

Giornalista pubblicista

Appassionata e onnivora lettrice

Considero i libri come finestre sulla vita, da aprire costantemente per imparare come comportarsi sulle strade del mondo.

I miei libri guida sono La Nausea di Sartre, Amore Liquido di Bauman e Il Libro del riso e dell’oblio di Kundera.

Mi piace contemplare e vivere il Bello, perché sono convinta che sia davvero l’antidoto al male. Adoro l’arte, la corrente espressionistica è senza dubbio quella che mi rappresenta in modo totale, il mio quadro del cuore è Notte Stellata sul Rodano di Van Gogh.

Una visione romantica e di prospettiva sulle cose non può esulare dal ri-conoscersi in un’opera lirica, la mia è La Bohème di Puccini.

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