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Quella porta verde

Pubblicato in Racconti Inediti
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“La porta verde non la devi attraversare”. Mi ripeteva incessantemente la mia coscienza, alla quale prestavo ascolto in maniera intermittente. A volte mi infastidiva quella voce perentoria che da dentro mi saliva fin dentro le orecchie bombardandole senza sosta. Altre volte l’attendevo invano, ma lei ammutoliva proprio quando ne avevo più bisogno. Più tardi capii che dovevo interrogarla anche nei momenti di pienezza e che le risposte alle mie suppliche le avevo già nell’alba del mio pensiero.

 

Quella mattina, in un dormiveglia tormentato, mi trovavo nel labirinto del mio io. Nel bel mezzo di un incrocio mi guardavo intorno senza riuscire a muovere un passo: a destra c’era una porta verde, a sinistra una porta aperta, di fronte un abisso e alle spalle una pianura. Uno spazio vuoto mi teneva sospesa tra le quattro coordinate e io non sapevo dove andare.

“La porta verde non la devi attraversare”, tornava a ripetermi quella voce.

Provai a dirigermi verso la porta aperta, ma quella verde mi attraeva di più. La pianura la conoscevo, l’avevo già percorsa, sapevo tutta la sua estensione e anche l’odore della polvere che si sollevava ad ogni passo. L’abisso invece no, mi metteva paura. Era un luogo inesplorato di cui non riuscivo a vederne la fine, non sapevo dove mi avrebbe portata sebbene fosse nella direzione del mio orizzonte.

Camminando come sui petali di un fiore, mi avventurai verso la porta verde, mi chinai lentamente ed esitando affacciai il mio sguardo al di là della serratura. Una distesa verde smeraldo senza contorni si apriva al mio occhio curioso che si muoveva nervosamente alla ricerca di qualcosa. Non c’era altro, solo un prato foltissimo dai robusti fili d’erba che brillavano alla luce di un sole sfebbrato. Mi alzai più inquieta di prima, indecisa sul da farsi, mi guardai nuovamente intorno ma non tornai indietro. Mi chinai ancora e rividi attraverso il buco della porta. Il mare verde era ancora lì, soffiato dall’alito del vento. Mi sollevai nuovamente e impugnai la maniglia della porta.

L’aprii. La varcai. La richiusi dietro di me senza voltarmi. Rimasi ad osservare.

L’oceano senza onde avvolgeva una bambina seduta in mezzo al verde. Era di spalle, portava un carré nero, indossava una camicetta bianca a fiorellini rosa e stava intenta a guardare qualcosa. Lo capii perché la testa era chinata in avanti e dalla mia posizione non riuscivo a vedere altro. Cercai con lo sguardo altre presenze, ma non c’era nessuno. La piccola era sola. D’un tratto, come se avesse sentito i miei occhi sulla sua nuca, si girò a guardarmi. Il suo sguardo mi inghiottì. Aveva grandi occhi neri, tutti neri, così neri che non ne vedevi il fondo. Mi fissava e mi parlava ed io non riuscivo ad uscire da quegli occhi. Mi stava raccontando tutte le gioie della sua infanzia, gli anni spensierati, i voli di farfalla, i giochi senza frontiere, i sorrisi stampati, i passi leggeri.

- La felicità - mi stava dicendo con quegli occhi immoti ed immensi - è dentro di me e per non perderla la sto scrivendo in questo libro.

Mi fece vedere un libercolo che aveva tra le mani e che si riempiva di parole mentre mi parlava silente. Tutta la sua vita era scritta in quelle pagine.

- Quando chiuderai questo libro - mi disse - si aprirà la tua vita!

Si voltò e riprese il suo lavoro muto.

Il verde del prato mi accecò per un attimo e un profumo intenso di erba bagnata mi penetrò nei pori della pelle. Aprii e chiusi gli occhi più volte, li strizzai, e quando fui in grado di rimettere a fuoco l’immagine non c’era più nessuno.

La bambina se n’era andata.

Al suo posto, un po’ più in la, c’era una ragazza che camminava verso il suo sole. Era alta, snella, con una chioma nera che fluttuava sulle spalle. Indossava una maglietta bianca e dei jeans. Il suo incedere lento mi rassicurava ma ad un tratto si bloccò, si voltò e mi trafisse con le sue fessure che si aprivano appena nel suo viso. Era prigioniera del tempo e dei suoi ricatti, mi disse con quello sguardo appena aperto.

- Vivo nel luogo dei forse a rincorrere il tempo che non mi restituirà più gli anni delle certezze. Ora fermo nella corteccia dei minuti che scorrono i sussurri di una vita che faccio a fatica a ricordare.

Si chinò a cogliere un filo di quell'erba rigogliosa e me lo porse.

- Tieni, conserva questo filo d'erba odoroso. Nelle pieghe dello stelo, tra le foglie di carte morte, rivivrai l'incanto di ciò che è stato. E conservalo per sempre.

Poi sparì anche lei.

Sull'estremità del prato vidi una donna dalle gambe affusolate. Era ferma con il viso rivolto in avanti. Il suo vestito si muoveva nel vento che animava i fili d'erba, solleticando le caviglie del mondo. Si voltò a guardarmi, il suo sguardo era dolce e intenso. Mi disse tante cose. Mi parlò delle agonie della sera, degli istanti ansanti, delle parentesi dei tanti rimandi.

- Apri lo sguardo ad un altro universo - mi disse lieve - Canta la pace e la tua voce riverberi in ogni dove. Bevi volute di luna, assapora i colori dei fiori, scuoti lo sconcerto incerto della vita. Ama i tuoi giorni, quelli andati e quelli a venire e non disperarti per il buio che a tratti ti avvolge. Usalo come una pausa per sperimentare nuovi percorsi. Viaggia. Continua a camminare. Il tuo orizzonte dovrà continuare a brillare come questo prato.

Detto questo sparì anche lei.  

Le tre apparizioni mi crearono un certo turbamento. Ecco, avrei dovuto ascoltare la mia coscienza e non aprire quella porta. Feci ritorno al bivio dove non c'è segnaletica e cominciai a rimuginare sulle parole non dette ma ascoltate. Tanti spazi bianchi si aprirono intorno a loro. Provai le vertigini.

Ricordare. Ecco cosa devo fare. Ricordare la mia vita verde e immaginare quella della speranza. Richiusi la porta verde e mi voltai verso quella aperta.

Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

Eva Bonitatibus

Eva Bonitatibus

Giornalista pubblicista

I libri sono la mia perdizione. Amo ascoltare le storie e amo scriverle. Ma il mio sguardo curioso si rivolge ovunque, purché attinga bellezza e raffinatezza.

La musica è il mio alveo, l’arte la mia prospettiva, la danza il mio riferimento. Inguaribile sognatrice, penso ancora che arriverà un domani…

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