Apr 25, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023
Eva Bonitatibus

Eva Bonitatibus

Giornalista pubblicista

I libri sono la mia perdizione. Amo ascoltare le storie e amo scriverle. Ma il mio sguardo curioso si rivolge ovunque, purché attinga bellezza e raffinatezza.

La musica è il mio alveo, l’arte la mia prospettiva, la danza il mio riferimento. Inguaribile sognatrice, penso ancora che arriverà un domani…

Dove nascono i librai

Bancarellino

Ma dove nascono i librai? Navigando sul web alla ricerca di notizie interessanti al nostro dire mi sono soffermata su quello del Premio Bancarella. Ho letto che il 23 maggio scorso è già stato assegnato il Bancarellino e che a luglio saranno assegnati i riconoscimenti “Bancarella Sport”. Una storia cominciata 63 anni fa in Italia e che conferma la vocazione di questo paese alla cultura, quella con la C maiuscola (non per essere retorici, ma ogni tanto dobbiamo ricordarcelo).

Ebbene gli esordi di questa straordinaria realtà avvennero nella piccola cittadina di Pontremoli, nella Ludigiana, quella terra “porta delle grandi vie di comunicazione” tra Toscana e Lombardia costellata di tanti piccoli villaggi immersi nei boschi di castagni e pini. Ebbene, in questo luogo d’incanto sono nati i librai. Si legge ad un certo punto: A Montereggio e a Parana è difficile che la gente sappia leggere e scrivere; non ci sono che le pecore e castagni e si vive mangiando formaggio e polenta dolce, in attesa che l’inverno diventi primavera e l’estate autunno, così da un anno all’altro. Eppure ogni casa di Montereggio è piena di libri intonsi; e a ogni stagione c’è un pastore che lascia il villaggio e va per il mondo a fare il libraio. La storia dei pastori librai della Lunigiana si perde nel tempo. Si ignora il nome di chi si lanciò per primo nella grande avventura; si sa solo che la partenza dei neo-librai fu sempre solenne. Sembrava obbedissero a una strana ispirazione: si presentavano ai vicini e dicevano: “Vado”.

Una storia ammantata di fascino che accende i riflettori su una vicenda che ci tiene ancorati alla bellezza delle radici. Oggi questa eredità va rinvigorita. I “pastori-librai” potremmo essere tutti noi, a portare il “verbo” della lettura in ogni dove, valicando montagne e colline, oltrepassando la soglia del freddo e del caldo. Serbando in petto l’entusiasmo e la gioia dei primi librai che giurarono di incontrarsi ogni anno nello stesso luogo e alla stessa ora. Carichiamoci di libri, non solo idealmente, trasformiamo le nostre auto in biblioteche ambulanti e facciamo conoscere la piacevolezza della lettura a chi non si è ancora lasciato contagiare.

Eva Bonitatibus

Etichettato sotto

AntonioMenna1

Antonio Menna è un giornalista prima che giallista, ed ha una visione del mondo ampia e disincantata. Caratteristica che gli consente di raccontare ciò che finisce sotto la sua lente in maniera realistica e ironica. Già, l’ironia è il maggior pregio che connota questo giovane scrittore che recentemente ha dato alle stampe Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai quartieri spagnoli per la casa editrice Guanda. In tour per le librerie d’Italia con il suo giallo sull’uccisione di un orso a via Speranzella a Napoli, Antonio Menna è stato anche ospite di Gocce d’autore e della Ubik a Potenza. Un incontro che ha messo in luce la profondità dello scrittore e il percorso che ha compiuto attraverso il romanzo. Che va letto tutto d’un fiato perché è davvero divertente. E lascia pensare. Molto. Lui si occupa di cronaca nera, ha condotto numerose inchieste ed è l’autore del famoso Se Steve Jobs fosse nato a Napoli pubblicato nel 2012 per Sperling & Kupfer.

L'Italia letteraria e' ricca di giallisti. In che posizione ti collochi rispetto ai padri del genere letterario che vede protagonista per la prima volta il tuo orso marsicano e il tuo Tony Perduto?

Sono sicuramente l'ultimo arrivato e quindi mi colloco a testa bassa. Il giallo è un genere difficile, soprattutto in un momento come questo. Già il genere, in sé, contiene una ripetitività. In questa fase, in Italia, il rischio di replicare senza alcuna originalità, altri modelli è alto. Bisogna tentare anche di innovare. Io ci provo e per questo sono un giallista poco ortodosso: mescolo i generi, entro ed esco, li attraverso, ne violo un po' le regole ma mantengo la lezione fondamentale: prendere il lettore e non mollarlo più fino a che non gli hai raccontato tutta la storia.

Come nasce "Il mistero dell'orso marsicano ucciso come un boss ai quartieri spagnoli?"

Nasce dal desiderio di collocare in un posto originale e spesso paradossale come i Quartieri Spagnoli di Napoli un fatto ancora più originale e paradossale, come il ritrovamento di un orso ucciso a colpi di pistola. Per poi sviluppare, da lì, una indagine informale, corale, con tutti i vicoli a dire la loro, che punta al mistero ma, strada facendo, racconta quei luoghi, le persone, la vita.

Il protagonista e' un giornalista precario che per vivere si adatta a fare un po' di tutto, rincorrendo a tutti i costi la propria autonomia. Un po' lo specchio di quanto accade ai giovani e anche ai meno giovani lavoratori di oggi. È forse il simbolo del riscatto da chi ci vuole "mammoni" e "sdraiati"?

AntonioMenna2Tony Perduto, il protagonista, l'investigatore contro voglia, è un 35enne, figlio del suo tempo. E' precario nel lavoro, anzi di più: è frammentato. Fa tre lavoretti per mettere assieme uno stipendio da fame. E tutti transitori e occasionali. Quella precarietà diventa anche una sua sospensione esistenziale: non costruisce affetti stabili, è un solitario, è un ansioso. Tutt'altro che mammone, forse un po' sdraiato sì ma solo perché, alla fine, correndo dietro tutti i pezzi, ci si stanca. E forse ci si deprime anche un po'.

Veniamo ai temi del romanzo: camorra, precariato, disagio sociale, solitudine. Una miscela ben ottenuta tra narrazione e attualità. Qual è la vera storia che racconti attraverso questo libro?

Forse ci sono più "vere" storie. Nel senso che c'è il livello principale, che è l'investigazione. E poi c'è un mondo. I vicoli di Napoli, il corpo a corpo dei Quartieri Spagnoli, la città che tutti conoscono: caotica, solare, vivace, un po' commediante. Ma c'è anche la Napoli di sotto: gli anfratti, le ombre, il buio, la vita interiore. Ci sono personaggi irrisolti, sospesi, spezzati. C'è l'immigrazione che a Napoli si integra perfettamente. C'è l'alta borghesia, che vive una sua Napoli. Credo si tratti di un romanzo corale, benché narrato in prima persona. E questo coro ha molte (non tutte) le voci della cittàAntonioMenna3

Un giallo che sfocia nel noir. Napoli, città nella quale è ambientata la storia, diventa essa stessa protagonista. Tante Napoli abbiamo letto, qual è quella dell’orso?

E’ quella di dentro. Va cercata, come per i grandi attori comici, nella lacrima più che nella risata. La verità è complessa, e Napoli ha questa stessa complessità. Non nego lo stereotipo, il luogo comune: nel libro lo uso, lo smonto, lo strumentalizzo. Anche quella Napoli esiste. Ma è una faccia del cubo.

Il popolo dei bassi. Un affresco della napoletanità che si esprime attraverso l’espediente linguistico. Quanto è funzionale l’uso del termine dialettale alla veridicità della storia? La sostiene o la nega?

Io uso il dialetto non nella narrazione ma in alcuni dialoghi. Il libro è ambientato nei Quartieri Spagnoli e quando parla un abitante dei “bassi” non può farlo con un italiano perfetto. Lo fa, nel mio libro, con il suo linguaggio: mescola dialetto e lingua, ripulisce il dialetto nella lingua; ne esce, a volte, una lingua tutta nuova, una sorta di “napoliano”, un napoletano bagnato nell’italiano. Credo che questo sia necessario per dare credibilità all’ambientazione e ai personaggi e anche ritmo e riconoscibilità alla narrazione.

AntonioMenna4

Il ruolo del narratore e quello del cronista di nera. Come si coniugano i due diversi modi di raccontare?

Sono naturalmente due cose totalmente diverse. La cronaca, soprattutto quella nera, non concede molto alla scrittura. Le notizie hanno la precedenza su tutto. Però anche nel giornalismo, soprattutto per quello periodico, ci può essere una zona di confine dove gli stili si mescolano e si fa un giornalismo narrato, quindi più descrittivo e più calato negli occhi, nei pensieri delle persone. Sempre di giornalismo, però, si tratta, quindi con la notizia al centro. Il narratore, invece, racconta storie senza la centralità della notizia. Batte liberamente il suo tempo, insegue le sue suggestioni, le strutture in un campo largo, lavora sulla lingua e sullo stile con maggiore libertà.

Ci sarà un sequel del romanzo?

Ci sto lavorando.

Cosa rappresenta per te la scrittura?

Una passione, un impegno, una musica sempre nella testa, un modo di vedere il mondo.

Eva Bonitatibus

Etichettato sotto

Carlo Levi, Genius loci

inv CarloLevi1 "Nullus locus sine Genio", ossia “nessun luogo è senza Genio”. L’espressione usata dal relatore latino Servio per commentare l’Eneide è stata utilizzata per raccontare un uomo e i suoi luoghi: Carlo Levi e la Basilicata. Una narrazione attraverso scatti fotografici e opere pittoriche che esaltano il concetto di “spirito” del luogo e dell’uomo. Un’immagine che affonda le sue radici nella cultura classica in cui si parla di sacralità dei luoghi e della funzione che ogni uomo è chiamato ad assolvere e che consegna a noi contemporanei il concetto di “essenza di un luogo”. Luoghi dotati di una certa forza, di un’anima, capaci di influenzare le persone che vi abitano. Affermazioni, queste, che ci portano nei meandri dell’antropologia secondo cui un uomo che vive in certi luoghi, con il passare del tempo ne assume i caratteri, diventa simile ad essi.

Così è stato per Aliano e Carlo Levi. Uno stretto rapporto tra terra e uomo sfociato in amore struggente di cui ha voluto parlare la mostra fotografica e pittorica Genius Loci...persistenze spazio temporali allestita presso la Biblioteca nazionale di Potenza inaugurata lo scorso 8 maggio e visitabile fino al prossimo 10 giugno.

Un’occasione fornita da varie ricorrenze che riguardano lo scrittore e pittore torinese: i 40 anni dalla sua scomparsa, i 70 dall'uscita del romanzo "Cristo si è fermato ad Eboli" e gli 80 dal suo confino in Basilicata. Una mostra che unisce i vari linguaggi espressivi: la fotografia e l’arte figurativa e che dedica uno spazio alle opere letterarie dello e sullo scrittore (Cristo si è fermato a Eboli, 1945, L'orologio, 1950, Le parole sono pietre, 1955, Il futuro ha un cuore antico, 1956, La doppia notte dei tigli, 1959, Tutto il miele è finito, 1964).inv CarloLevi2inv CarloLevi3 inv CarloLevi4

33 scatti fotografici, a cura dell'Associazione Fotografica "Imago Lucus", dedicati ai luoghi leviani del confino, i paesaggi materani di Aliano e di Grassano. 9 opere di Levi, selezionate dal Polo Museale Regionale della Basilicata dal titolo "I dipinti di contenuto sociale". Opere che vanno dal 1953 al 1974 di proprietà della Fondazione "Carlo Levi" di Roma date in comodato al Museo d'arte Medievale e Moderna della Basilicata - Palazzo Lanfranchi, che le ha messe a disposizione per questo evento. Chiude l’esposizione il ritratto di Levi realizzato dall'artista Rocco Santacroce. Un evento che racconta anche un buon esempio di sinergie tra le realtà pubbliche e private che operano sul territorio a favore della cultura investendo in operazioni di tale importanza. inv CarloLevi6inv CarloLevi7inv CarloLevi8

La mostra affronta un percorso geometrico e cromatico che riguarda il paesaggio e i suoi abitanti: linee profonde e scure che spaccano la terra arida, che disegnano il contorno del paese, che segnano i volti arsi dal sole della gente del paese. I colori caldi e materici: il giallo d'estate, l'ocra delle argille, il nero degli stendardi appesi alle porte, della Madonna nera, degli occhi profondi delle nonne, dei veli delle vedove, dei capelli delle streghe. Poi il bianco dei sassi di fiume e delle carcasse delle carogne. Il grigio-verde degli ulivi, delle pale dei fichi d'India, il verdastro-azzurrino delle imposte di legno e poi il blu del cielo terso.

E le curve dei tornanti, delle piccole case arroccate su cui si staglia l'ombra di una figura incorporea ed eterea. Lui, l’uomo, il Genius che non ha mai abbandonato quelle terre, che le osserva dall’alto, da dietro le case, attraverso i muri. Lui è sempre lì. La sua anima non ha emigrato altrove. E’ rimasta tra le colline arse dal sole e levigate dal moto incessante del vento. L'invisibile che sta dietro il visibile. inv CarloLevi5

Immagini incantate di un luogo che non ha mai smesso di raccontare la sua storia rese suggestive dalla sovrapposizione di scatti e dalla esposizione multipla di immagini.

Foto che hanno colto  lo spirito di Carlo Levi, Genius Loci, benevola eterna presenza.  

Eva Bonitatibus

Etichettato sotto

I luoghi della lettura

edi piazzalibri

Istigazione alla lettura. Lo ha detto Erri De Luca, scrittore italiano finito sotto processo per aver preso posizione nei confronti dei cantieri dell’Alta velocità sulla tratta Torino-Lione. Avrebbe invitato al sabotaggio della Tav. Ma lui, dall’aula del Tribunale di Torino dove si è svolto il processo a suo carico, si difende dall’accusa di istigazione a delinquere dicendo che potrebbe “istigare alla lettura, al massimo alla scrittura”.

Le parole sono pietre. Come non cominciare da questo evento per affermare il ruolo degli scrittori nella società odierna? Sembra che sia necessario tornare a soffermarsi sul significato delle singole parole. Le parole sono pietre. Lo scrisse Carlo Levi in un libro così intitolato in cui compie tre viaggi nella Sicilia dei primi anni ’50. Ne scruta il segreto, ne coglie la verità e la speranza. E ci invia un messaggio di amore per tutto quanto è umano, di debole e doloroso, vale a dire nobile. Da qui quella sua straordinaria capacità di guardare, leggere e capire la realtà.

edi piazzalibri2Contagiare la voglia di leggere. E come si può leggere la realtà se non attraverso il vissuto impresso nelle pagine dei libri di intellettuali e scrittori? Torna allora utile, ancora una volta, il ricorso ai libri e alla lettura. E torna utile ricordare che lo si potrà fare coralmente. Dal 21 maggio al 2 giugno arrivano le Piazze del Libro, la manifestazione del Maggio dei libri 2015 che vede il coinvolgimento anche dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani il cui compito sarà di contagiare gli italiani da Nord a Sud con un’inguaribile voglia di leggere, di scoprire nuove storie, e tuffarsi in pagine e pagine.

Il nostro invito è allora sempre lo stesso. Leggere con occhi nuovi la realtà nella quale viviamo cercando di cogliere il significato di quello che ci accade. Seguendo le parole dei nostri maestri, non quelli cattivi, che ci hanno tracciato la strada per una vita vera. Continuiamo allora ad istigare e a contagiare…all’uso dei libri e al valore delle parole.

Eva Bonitatibus

Etichettato sotto

dial Amendolara1

Si definisce un cronista artigiano del Mezzogiorno d’Italia. E’ un giornalista puro, che ama la verità. Conosce il valore dell’informazione e delle parole, che usa con consapevolezza dando a ciascuna il giusto significato. Non ama gli scoop sensazionalistici e prende le distanze da certe trasmissioni televisive che fanno mercimonio di casi umani. Fabio Amendolara, giornalista lucano, è stato ospite di Gocce d’autore per la presentazione di uno dei suoi libri-inchiesta e di recente è stato insignito del prestigioso Premio Internazionale “Rosario Livatino e Antonino Saetta” per le sue inchieste giornalistiche su casi di femminicidio, di persone scomparse e di lupara bianca. Amendolara è autore di numerose inchieste e alcune pubblicazioni: La colpa di Ottavia, controinchiesta sulla misteriosa scomparsa della bambina di Montemurro, Il caso Ilaria Alpi, e-book sul misterioso omicidio dell’inviata di guerra, Il segreto di Anna. Inchiesta su un suicidio sospetto. La misteriosa morte del commissario Esposito e gli intrecci con la scomparsa di Elisa Claps. Impegnato come componente della Commissione garante per l'attuazione della Carta di Istanbul, Fabio Amendolara si batte per la qualità dell’informazione mediatica. Ecco la nostra intervista.

Dove nasce la passione per il giornalismo d'inchiesta?

Nasce mentre a Catanzaro seguivo da cronista le inchieste del pubblico ministero Luigi De Magistris. Ho avuto modo di lavorare a stretto contatto con giornalisti come Francesco Viviano che all'epoca era inviato speciale di Repubblica, Gianmarco Chiocci, inviato del Giornale e oggi direttore del Tempo, Antonio Massari, già con La Stampa e ora al Fatto Quotidiano. Loro non raccontavano soltanto il contenuto delle indagini ma lo valutavano, lo verificavano e lo inserivano in un contesto. Erano inchieste giornalistiche sulle inchieste giudiziarie. Lavorando con loro il mio approccio alla professione è cambiato.

Chi informa deve essere informato. Una regola aurea del giornalismo che non sempre viene rispettata e che in taluni casi genera danni irrimediabili. Come garantire una corretta informazione?

Io aggiungerei: deve essere anche documentato. Più lo è e migliore sarà la sua inchiesta. Purtroppo l'errore è sempre dietro l'angolo. L'unica arma che il giornalista ha in mano per prevenire è verificare, verificare, verificare.

 

dial Amendolara2dial Amendolara3dial Amendolara4

Tre libri su tre donne scomparse: Ottavia, Ilaria e Anna. Un impegno professionale che assume carattere sociale soprattutto per aver riacceso i riflettori su casi ormai finiti nell'oblio. Qual è il suo filo conduttore?

L'oblio è qualcosa di terribile. Su Ottavia e Anna c'era già una pietra sopra. Il caso di Ilaria è stato mantenuto in vita dalla caparbietà di tanti colleghi che l'avevano conosciuta e che avevano lavorato con lei. L’impegno delle famiglie in casi come questi non basta. I familiari sono soli in battaglie giudiziarie complicatissime e costosissime. Sono certo che il giornalismo d'inchiesta possa fare tanto e non solo per la memoria.

Ad Istanbul, dove ha recentemente partecipato al 3' Symposium internazionale sulla protezione giuridica della donna, ha parlato del rapporto tra giornalismo e femminicidio. Cosa pensa del modo in cui questo argomento viene trattato da alcuni programmi televisivi?

Provo paura quando vedo Barbara D'Urso intervistare zio Michele di Avetrana e altri protagonisti di fatti di cronaca. Di recente mi sono occupato del caso di un chirurgo finito nel tritacarne mediatico di trasmissioni televisive non condotte da giornalisti. Lo definirono un macellaio. In realtà, a parte il risultato estetico davvero terribile, aveva salvato la vita a una persona. Questo concetto è stato ribadito in diverse sentenze giudiziarie. Ora vedremo cosa decideranno i giudici per la definizione di macellaio. Sono certo che un giornalista non avrebbe mai usato quel termine con leggerezza.

Può la notizia influenzare il decorso della giustizia? In che misura?

Se l'informazione è corretta non può che influenzare il decorso della giustizia in modo positivo. Non sono pochi i casi in cui testimoni importanti sono stati rintracciati dai giornalisti e non dagli investigatori.


Nonostante il continuo parlarne, il triste fenomeno del femminicidio sembra non conoscere battute d'arresto. Il tam tam televisivo argina o favorisce tali crimini? Si può rimanere affascinati da scoop sensazionalistici?

È proprio ciò che va evitato: gli scoop sui casi di femminicidio.

dial Amendolara5

Qual è stato il caso più difficile da capire della sua carriera?

Senza ombra di dubbio l’omicidio della giovane Elisa Claps. Ci sono continui misteri nel mistero. È inestricabile.

Quale riaprirebbe?

Quello di Sveva Taffara, una ragazza di Settimo Torinese annegata in un pozzo di una masseria dispersa nelle campagne di Barile. L'hanno chiuso come suicidio, ma è un caso che grida giustizia.

Cos'è per lei il giornalismo?

Bella domanda. È informare i propri lettori/ascoltatori senza influenzarne le idee in modo subdolo.

Eva Bonitatibus

Etichettato sotto

Commenti