Apr 18, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

L’atelier

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Un po’ officina e un po’ museo, un po’ fabbrica e un po’ salotto…

Lo studio dell’artista è il luogo dove l’opera si realizza ed è uno spazio mentale, prima ancora che uno spazio fisico e sorge spontaneo il sospetto che siano a immagine e somiglianza del proprietario. Quanto lo studio ci racconta del lavoro di un artista, e viceversa come l’artista si racconta all’interno del suo studio?

A lungo mitizzato come il luogo della creazione artistica, lo studio ha affrontato un cambiamento epocale nel corso dell’ultimo cinquantennio, durante il quale gli artisti hanno riconfigurato e diversificato i posti dedicati alla propria attività. Nel Libro dell’arte di Cennino Cennini possiamo leggere come erano organizzate le botteghe degli artisti nel Medioevo. A capo della bottega c’era il Maestro, e sotto la sua direzione si trovavano giovani apprendisti ansiosi di imparare l’arte, operai salariati e assistenti. Con il Rinascimento l’artista, divenuto cortigiano, doveva dividere equamente il proprio tempo tra cavalletto, colori, mestiche e relazioni sociali a corte, per accrescere la propria fama e procacciarsi sempre nuove commissioni. Nell’Ottocento le dinamiche sociali e il mercato dell’arte cambiano notevolmente, e l’atelier varia forma e caratteristiche per rispondere a questi mutamenti. Nel 1961 uno “studio” poteva riferirsi sia a uno stato mentale che a un luogo fisico. A partire dal XVII secolo gli artisti “cominciarono a trattare lo studio come lo strumento fondamentale della propria arte. Per alcuni, esso non era semplicemente il luogo in cui lavoravano, ma una condizione del lavoro”. Probabilmente lo studio ha assunto un aspetto espositivo, quando i Salon parigini selezionavano gli artisti e le opere degne di essere esposte e battezzate al gusto ufficiale. Gli artisti tagliati fuori, per cercare in qualche modo di farsi conoscere, incominciano ad adibire i propri spazi al pubblico.

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Nel Novecento il ruolo dell’artista nella società ha cominciato a cambiare e di conseguenza anche il suo studio. Vi è la necessità di rinnovarsi e di abbandonare gli stereotipi dell’artista rinchiuso in se stesso e nel suo spazio a lavorare. Pioniere di una nuova concezione di studio, è sicuramente Andy Warhol che realizza la Factory: uno spazio in cui l’artista produce opere ‘di massa’ assecondando la logica industriale del tempo. Lo studio è diventato anche luogo in cui assistere il maestro all’opera. Un esempio è Jackson Pollock, l’inventore della tecnica del dripping. Lo ‘sgocciolare’ dell’artista che opera per terra, girando attorno alla tela, sconvolge il mondo della storia dell’arte e i suoi contemporanei. Pollock concesse infatti alla rivista americana Life, non solo di visitare il suo studio ma di poter assistere alla realizzazione di una sua opera. Gli studi d’arte possono essere semplicemente i luoghi in cui l’artista crea e non necessariamente dove espone. Un esempio lampante è quello della messicana Frida Kahlo che a causa di problemi di salute era spesso obbligata a rimanere a letto. La sua vena creativa fu tanto forte, da adibire la sua stanza in studio. Si fece montare al di sopra del suo letto, uno specchio in modo da poter realizzare un autoritratto più facilmente.

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Oggi esso assume varie forme, dallo spazio architettonico chiaramente definito  fino ad approcci che spesso oltrepassano i confini e le limitazioni di quello spazio. Che cosa significa lavorare oggi nello studio, e quali sono le opzioni a disposizione degli artisti nel momento in cui essi navigano le reti sempre più mobili, digitali e globali che caratterizzano il mondo dell’arte? La pratica dello studio comprende un ampio spettro di metodi differenti: alcuni di essi dipendono direttamente dallo studio, altri invece sono nomadiche e avulse da uno spazio fisso. Molti artisti sono soli nel proprio studio, altri lavorano in ambienti che assomigliano ad uffici, gestendo assistenti e rispondendo alle email. Altri ancora, non avendo le risorse necessarie per uno spazio permanente, o avendo un altro lavoro, sviluppano alternative. Videoartisti girano in varie location e poi lavorano duramente nell’oscurità di una sala di montaggio questo a causa dell’avvento di Internet che ha trasformato la relazione di molti artisti con il loro luogo di lavoro, accompagnando la crescente mobilità e un senso di connessione globale.

Serena Gervasio

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