Apr 23, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

Mellotron

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osservareSe si pensasse ad un mellotron  ci verrebbe in mente una “tastiera  in grado di  trasmettere i suoni di altri strumenti” e, paragonandolo all’arte, forse, penseremmo ad un’opera in grado di trasmetterci i pensieri e le emozioni di terzi.

Il punto di partenza rimane tale, la “ realtà” per poi trasformarla secondo la propria interpretazione. Vito Masi, artista lucano di origine belga, introduce nella sua mostra intitolata “Mellotron” il suo percorso artistico che, attraverso la fotografia e la sua rielaborazione, va ad intrecciarsi con i suoi affetti personali. Nella maggior parte dei suoi lavori attuali Masi utilizza corpi, che sono quelli dei propri familiari, le persone che gli stanno più vicine. Li costringe in torsioni innaturali, posizioni faticose, riprendendoli per frammenti o tranche. Ne studia i muscoli, la pelle con le proprie imperfezioni, mette in evidenza una sorta di geografia, di mappa, di atlante dell’epidermide. L’esposizione, inaugurata il 19 novembre, sarà visibile presso ilMuseo Archeologico Provinciale di Potenza, a cura diLuca Beatricee patrocinata dalla Regione Basilicata, dallaProvincia di Potenzae dalComune di Avigliano e resterà aperta fino al 20 dicembre 2016. In questa sua mostra emergono gli umori crepuscolari che ha assaporato nei suoi luoghi, dando voce alla sottile nostalgia degli uomini costretti a dire addio ai propri paesi.La sua esperienza pittorica dà corpo e forma al suo mondo, al suo essere stato comunque emigrante, figlio di emigrante e aver vissuto all'estero a contatto con realtà non sempre facili in un Paese dove si viene segnati e riconosciuti come cittadini diversi. Masi, dunque, sembra incentrare la sua pittura sull'uomo e sulle condizioni di forte disagio, di dramma, di tragedia o semplicemente di sofferenza. Fa tutto ciò con convinta partecipazione in un rimando spazio-temporale, annullando o superando linee di coordinate, sorpassando meridiani e paralleli, per cercare ovunque e sempre la comune condizione di sofferenza e di dolore, intesi, questi ultimi, come comune denominatore. Nelle sue opere prevale il nero nelle sue tinte marcate oppure, talvolta, un tantino attenuate :"Il colore nero, scarno, pietroso, grigio da terra bagnata, dove qua e là squilla la provocazione di un rosso” che sottolinea la figura dell'uomo: un'immagine imprigionata, all'insaputa dello stesso autore, il quale insegue, testardo, esclusivamente le sollecitazioni della fantasia". I visi sono sempre anonimi ed accompagnati o inquadrati in pareti, finestre, oggetti grossolanamente ritoccati e con la prevalenza dei chiari e degli scuri tanto che quando appare in rari lavori la colorazione, anche piuttosto vivace, l'osservatore resta colpito e come sorpreso.

 

 

 

 

 

osservare2“Le figure, i tratti, si compongono di linee asciutte che mantengono intatte i contorni, ma perdono ogni orpello per manifestare più chiaramente lo spirito di ciò che rappresentano. In primo piano c’è la Lucania “magica” degli antenati e dei riti sepolcrali, ma c’è anche il contadino senza tempo delle nostre terre, e i profili dei paesaggi di questa regione. Figure che raccontano una storia che arriva all’essenza “archetipale”, dice Rino Cardone, dell’uomo e della sua origine. E anche la tecnica asseconda questo risultato: che si tratti di acquerelli o di composizioni più materiche dove il bitume, il gesso, lo stucco e il cartone, si mescolano insieme, il risultato è sempre quello di un dinamismo che si lega intimamente ad un segno quasi inciso. Complice la tonalità terrosa, prediletta dall’artista, queste tele appaiono quasi come dei graffiti su antiche rocce, o sul tufo dei Sassi di Matera, e le figure stesse si intrecciano intimamente con questa dimensione di “pietra”. Una riflessione, quella di Masi, che nella produzione degli ultimi anni ha ampliato la sua visuale anche ad un contesto vicino alle filosofie orientali e ad una meditazione sempre più intensa sull’anima dell’uomo, sui suoi drammi, che si manifesta nelle ultimissime opere con un potente ritorno alla figurazione. Essa è il simbolo di un recupero dell’umanità, anche nella sua fisicità; opere che diventano nuovi simulacri votivi che, pur non rivolgendosi ad antiche divinità, esprimono il secolare bisogno di una risposta ai drammi dell’esistenza da parte dell’uomo e di cui l’artista, ora come allora, si fa interprete.

 

 

 

 

 

 

 

 

Serena Gervasio

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