Apr 16, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

Cosa è reale?

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Si direbbe che non esista più nulla, nell’epoca dei nuovi media, che l’uomo non abbia visto e che ogni immagine del mondo, sia essa “naturale” o “artificiale”, non è altro che una costruzione e una realtà scaturita progressivamente dalla nostra percezione che si muove all’interno di determinati limiti. Il mondo, indipendentemente dal fatto che sia rappresentato in una fotografia, nella coscienza umana, o su una tela, non è altro che una costruzione.

Con l’invenzione della fotografia e del cinema la percezione del mondo esterno ha subito una profonda trasformazione. L’essere umano ha potuto assistere ad eventi e cose che accadono oltre il confine della sua immediata vicinanza, superando così, in un certo senso, i limiti del tempo e dello spazio. Nel 1839 la divulgazione del procedimento fotografico introdusse anche uno spostamento di paradigma nel concetto di realtà. Se fino alla nascita dell’“immagine di luce” pittori e disegnatori avevano raffigurato il mondo a partire dalle proprie esperienze, fantasie e competenze artigianali, ora esisteva un apparecchio in grado di riprodurre il reale in modo preciso, autentico e compiuto. Dal giorno della sua creazione, arte e fotografia non hanno potuto ignorarsi e hanno cominciato a camminare l’una di fianco all’altra influenzandosi a vicenda. Ma in che modo la fotografia ha definitivamente cambiato un modo di dipingere che durava da circa cinquecento anni?. La prima reazione dei pittori a questo epocale cambiamento fu quella di orientarsi a un’arte ispirata al massimo realismo nel momento in cui la fotografia era da considerarsi una sorta di “finestra sul mondo”, in grado di mostrare le cose proprio così come sono ma, nonostante ciò, le aspettative sulle potenzialità dell’immagine fotografica andavano ben oltre questa ambizione. Alla fotografia fu quindi attribuita una straordinaria oggettività, motivata anche dalla certezza che, al momento dello scatto, sia l’oggetto di riferimento sia il fotografo erano presenti in loco. Ci fu chi guardò la fotografia come una minacciosa forma di concorrenza e si scagliò contro di essa criticandone la meccanicità del gesto creativo che escludeva il tocco e la sensibilità dell’artista e chi accettò il dato di fatto confrontandosi con essa su piani differenti. Man Ray sosteneva che il vero destino della fotografia non era quello di diventare l’arte dell’avvenire ma di essere semplicemente un altro tipo di arte. Secondo il critico e saggista Walter Benjamin la più grande rivoluzione della fotografia è stata quella di porre termine ad una concezione aristocratica dell’arte. Affermava, infatti, che l’opera d’arte in senso stretto, dava privilegio ad un numero ridotto di contemplatori, invece la fotografia, con la sua riproducibilità, diventava disponibile per un vasto numero di fruitori. Ma proprio per questa sua riproducibilità tecnica, la fotografia mancava di quel carattere di unicità, singolarità che invece aveva contraddistinto la pittura sin dall’origine. Tale considerazione porta Benjamin a considerare superata l’arte stessa. Amata o odiata, la fotografia cambiò e influenzò il modo di fare arte e divenne uno strumento molto potente per conoscere il mondo. Fino alla metà dell’Ottocento era convinzione comune che i cavalli galoppassero sollevando tutte le quattro zampe contemporaneamente da terra, tanto è vero che esistono una serie di dipinti, anche realizzati da grandi artisti, che lo dimostrano. Muybridge, nel 1978, posizionò ai bordi di una pista 24 fotocamere che vennero azionate da un filo rotto dal passaggio di un cavallo al galoppo. In questo modo riuscì a cogliere tutti i suoi movimenti e a dimostrare l’errore di valutazione. Vero o falso che sia l’aneddoto, è chiaro che ormai gli artisti hanno qualcos’altro con cui confrontarsi: le immagini in movimento. Alcuni artisti tentarono di portare il movimento sulla tela, come i Futuristi italiani o Marcel Duchamp con il suo “Nudo che scende le scale”. Ma ,nel 1915, Giacomo Balla apriva così il suo Manifesto del colore: “Data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno.” Anche quei pittori che avevano messo in dubbio il suo valore come opera d’arte, non esitarono a servirsene per il proprio lavoro. Prima di tutto con essa non avevano più bisogno di avere davanti a sé una persona in carne e ossa per eseguirne il ritratto, in questo modo si risparmiava anche sui tempi di posa dei modelli. Secondo, la fotografia restituiva particolari che l’occhio umano non riusciva a percepire. Picasso per esempio inserirà fotografie all’interno dei suoi collage. Ma sono i Dadaisti gli artisti che più di tutti ne sfruttano le potenzialità, assemblando nei loro fotomontaggi varie immagini prelevate dalla realtà o dai giornali. La fotografia assurge così al ruolo di opera d’arte e allora anche i fotografi devono confrontarsi con i pittori. Il resto è storia relativamente recente. Eppure…Con la fotografia l’ambiguità della rappresentazione (tra realtà e costruzione) si esprime nella distinzione tra specchio e disegno. Come un’immagine allo specchio, una fotografia non è indipendente dalla realtà: non produce propri oggetti, ma consente di osservare degli oggetti che si suppone esistano davvero, e che la fotografia rende accessibili in un modo e in una prospettiva che altrimenti non sarebbero disponibili. Proprio per questo, curiosamente, dal punto di vista dell’ottica le immagini che vediamo in uno specchio non sono immagini reali (come quelle di un disegno) ma vengono dette immagini virtuali, cioè immagini che in qualche misura non hanno una loro autonomia: non le si può ruotare, ingrandire, colorare ,non ci si può fare niente, e per modificare l’immagine bisogna intervenire sull’oggetto.

Serena Gervasio


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