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LOGOS E MYTHOS

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Le Espressioni Gemelle del Verbo giovanneo e del pensiero/forma.

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Logos e Mythos è il titolo emblematico che è stato scelto per questo concorso artistico, promosso dal Circolo culturale Gocce d’Autore.

Esso racchiude un doppio paradigma. Quello del Verbo giovanneo, che muove il cosmo e quello della parola/forma, che costituisce l’asse portante del pensiero umano. Logos e Mythos sono Espressioni Gemelle di un doppio lemma, la parola e il discorso, che sono unici nella loro essenza semasiologica e che si proiettano nella dimensione del tempo: quella diacronica (del Verbo e della Scrittura Rivelata) e quella sincronica (della parola/forma e del segno/pensiero). Su questo paradigma - semanticamente indistinto - si fonda l’Archetipo universale – di scuola analitica junghiana - che portò all’origine materiale di tutte le cose: all’Arché (Principio, Origine e Sostanza). In esso risiede, anche, l’elemento formale da cui derivò la nascita dell’epica e della filosofia: il cosiddetto típos (modello, esemplare e marchio). L’arte ha attinto a piene mani da questo schema olistico. Esso si compone di due elementi che sono intimamente correlati tra loro. Da una parte c’è il Logos e dall’altra parte c’è il Mythos. Da una parte c’è la trascendenza e dall’altra parte c’è l’immanenza. Da una parte c’è la spiritualità e dall’altra parte c’è la ragione. Il tutto è racchiuso dentro il sistema simbolico di Antica Bellezza e Punto Primo.

La scelta del tema Logos e Mythos, per questo concorso, non deriva da un bisogno di eccentricità e originalità (un aspetto, quest’ultimo, che non dispiace) quanto invece dalla necessità di mettere insieme nell’afflato creativo: la coscienza con la conoscenza; la leggerezza di essere con la consapevolezza di mostrarsi; l’anima con la mente e lo spirito con la ragione. Ci troviamo di fronte (è importante ribadirlo) a un tema quanto mai impegnativo su cui, però, si sono cimentati dieci artisti: con linguaggi espressivi e con tecniche empiriche differenti tra loro. C’è chi ha adottato la pittura, chi il disegno, chi la scultura e chi la fotografia. È inutile, inoltre, negare che la scelta di un argomento così ambizioso ha prodotto, da se, una prima scrematura. Ed è per questa ragione, probabilmente, che non sono stati in tanti a partecipare. Ma questo non costituisce un problema perché come sosteneva André Gide la grandezza dell’arte risiede in un genere di espressioni artistiche che si fanno più arte alla presenza dell’esagerazione di un’idea. Questo è un aspetto teorico che trova - ad esempio - conferma nelle pitture rupestri delle grotte di Altamira e Lascaux, al cui riguardo Pablo Picasso ha detto che dopo che furono dipinte - quelle rocce - nessuno fu più grado di fare altrettanto bene. Come dire: “L’Arte è nel principio”. E se è vero, com’è vero, che quelle pitture rupestri non giganteggiano in quanto a perfezione accademica, eccellono, invece, per il pensiero che rappresentano. Ovvero la conquista della posizione eretta e la conseguente presa di coscienza - da parte dell’essere umano - degli stati di spiritualità e creatività.

Occorre evidenziare che queste erano le indicazioni precise contenute nel bando per partecipare a questa mostra/concorso, organizzata dal Circolo culturale Gocce d’Autore. E occorre constatare che la maggior parte degli artisti, che hanno accettato di aderire a questo “sforzo creativo” - ambizioso nelle intenzioni - si sono attenuti, in maniera abbastanza fedele, al tema indicato. In molti hanno espresso una buona aderenza formale all’assunto tematico loro assegnato. Alcuni sono riusciti a incrociare l’argomento sia sul piano estetico e sia sul piano stilistico. C’è chi ha dato, persino, prova di riuscire a portare dentro lo “spazio creativo” del sensibile e dell’immanente, quelle espressioni del Logos e del Mythos che appartengono al mondo della “Armonia delle sfere” di pitagorica definizione. Si tratta, in questo caso, di forme che sono congiunte: sia con l’impulso vitale dell’universo (la cosiddetta philìa cosmica) e sia con quella realtà che corrisponde - nelle parole di ‘Abdu’l-Bahá - con quell’eterno «irraggiare della luce e del calore del Sole della Realtà» e con quel «soffio divino che anima e pervade tutte le cose». Si tratta di forme che giacciono lì da sempre, nello spazio dell’etereo. E che attendono, solo, di essere mostrate. Altri sono riusciti a mostrare, altrimenti, la relazione che esiste tra l’anima, la mente e il corpo. Si tratta di un mondo di “incanti meravigliosi” che si manifestano - di Era in Era - attraverso la Parusia celeste, descritta nel Siddharta di Hermann Hesse.  

Le neuroscienze oggi ci confermano che questo postulato astratto ha una sua aderenza fisica con la ghiandola pineale: luogo dove la mente e il corpo – lo supponeva già Cartesio - interagiscono tra loro. Anche la moderna fisica quantistica ci dà conferma di ciò. E ci dice che nello spazio della mente - laddove albergano i neuroni ed esplodono le sinapsi - il corpo fisico s’interconnette con il corpo astrale. Ed è da lì che prende forma la creatività: la quale sopravvive a se stessa nella vita oltre la vita, come pure la coscienza. Da sempre le espressioni artistiche ci hanno fornito prova della bontà di questa tesi. Ed è per questa ragione che ci sono delle opere d’arte che non temono l’usura del tempo. Esse manifestano le pulsioni interiori dell’individuo. E non basta. Come sosteneva, ancora, ‘Abdu’l-Bahá esse sono un segno della «forza della vita» intesa quale espressione della luce dello Spirito Santo che quando «rifulge attraverso la mente di un musicista, si manifesta in belle armonie». E che «quando brilla attraverso la mente di un poeta, appare come raffinata poesia e prosa poetica». Dobbiamo convincerci, però, che «questi doni conseguono il loro massimo fine» solo «quando mostrano la lode di Dio» o perlomeno solo quando magnificano la perfezione della forma e l’armonia del creato. Gli artisti - come anche i mistici - riescono a interfacciarsi con questa dimensione metafisica e soprannaturale. Attraverso i loro talenti, gli artisti riescono a cogliere - dal reame metempirico del Cosmo - gli ideali di Armonia, Perfezione e Simmetria, dai quali riescono a trovare piacere e godimento: il cuore e la mente, la coscienza e l’intelligenza.

Tornando al tema di questo concorso, diciamo che da una parte c’è il Logos eterno, il Principio del mondo: quello che Eraclito di Efeso, nella Grecia antica - cinquecento anni prima di Cristo - paragonò al fuoco perennemente mobile da cui nascono - e attraverso il quale periscono - tutte le cose. Cinquecento anni prima di lui, nella Scrittura Rivelata del Libro dell’Avestā, si narra che il Profeta iranico Zarathuštra avrebbe chiesto ad Ahura Mazdā come si nutrisse il primo essere umano. E Dio gli avrebbe risposto che egli «mangiava fuoco e beveva luce». La moderna fisica quantistica ha accertato che fuoco e luce sono delle particelle penetrate da onde, frequenze e movimenti vibratori. Questo conferma l’attendibilità della tesi sostenuta da Giordano Bruno secondo il quale “è il pensiero a formare la materia e non viceversa”. Agli artisti spetta il compito di continuare a perpetrare questa dinamica evolutiva dell’esistenza umana, stimolando il progresso e lo sviluppo.  

Dall’altra parte c’è, invece, il Mythos che s’identifica con la facoltà della memoria e con la qualità del ricordare. Come dimostra un po’ tutta l’arte: è in questo “spazio mnemonico” che il ragionamento è investito della sacralità del pensiero. Ed è qui che l’arte si fa tempio e simulacro della storia umana. Lo stesso di quanto accade in letteratura, dove il discorso si ammanta di mistero: nella retorica e nell’eloquenza. Bisogna, inoltre, osservare che il Mythos è appartenuto in origine ai poeti della Grecia antica e agli aedi celtici. E si è anche alimentato con i contenuti del pensiero sacerdotale druidico, oltre che in altre forme come nel caso dei nativi americani. Pian piano esso è giunto sino ai giorni nostri, con l’immutato vigore che cogliamo nelle diverse forme artistiche che sono state espresse nel tempo. Forme “così piene di significato e così prive di una spiegazione” come avrebbe detto il poeta tedesco Goethe.

Rino Cardone

Critico d’arte

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