Fatto sta che il mito soggiorna a Sant’Ilario, un piccolissimo borgo della Basilicata. Ce lo dice Siringa, la ninfa, che accoglie lo spettatore nel Museo del Maestro Franco Zaccagnino. È lei ad essersi palesata all’artista mentre sfuggiva a Pan, figlio di Ermes, per rifugiarsi nei pressi di una palude. Siringa invocò le Naiadi affinchè Pan non la raggiungesse e loro la mutarono in canne palustri. Pan si trovò dunque davanti ad un fascio di canne che, mosse da vento, mandavano un suono delicato. Allora il dio utilizzò le canne per costruire uno strumento musicale: la siringa.
Chi è questo dio, quest’essere supremo che è riuscito a dare alle canne un’anima? Non è forse un uomo che, nato tra i canneti di Sant’Ilario, ha ascoltato la loro voce e ne ha tratto delle figure umane? Quest’uomo che ha avuto un’intuizione grandiosa, poiché ha tratto dai frutti della terra il suo lavoro, è il maestro Franco Zaccagnino, esponente dell’arte “arundiana”, termine derivante dal nome stesso della canna: “Harundo-inis”, ossia “della canna mediterranea”.
Didascalia: La scrittrice
Lo racconta lui stesso, quando ti accoglie con la proverbiale ospitalità dei lucani nella sua casa, nel suo Museo. Il percorso che ha preparato per i visitatori parte proprio da quelle radici e si snoda come un racconto, dalla nascita alla morte, lungo le sale espositive così mirabilmente allestite. Tutto è bianco, tutto è candore, tutto è forma, tutto è creazione. Le sculture realizzate, man mano che si procede nell’esplorazione, sembrano venirti incontro. Sembra vogliano raccontarti la loro storia di amori, sofferenze, fughe e permanenze. Una suggestione mista a tante emozioni. Ventuno le donne presenti nel suo Museo, 20 raffigurate con la sola lavorazione della canna: Loulou la prostituta, Turandot, la Regina di cuori, Charlotte la Gran Duchessa del Lussemburgo, Selene, Stella, Venere, Cherokee, Penelope, Monna Lisa per citarne alcune, fino ad arrivare a Siringa. Ciascuna diversa dall’altra. Ciascuna con la propria personalità, con la propria anima.
E la sinuosità della canna libera la figura dando vita a forme inconsuete e nuove. Rompe con la tradizione ma della tradizione si nutre. Lo diceva anche Paul Cézanne: “La tesi da sviluppare è, qualunque sia il nostro temperamento o capacità di fronte alla natura, riprodurre ciò che vediamo, dimenticando tutto quello che c’è stato prima di noi. Il che, penso, permette all’artista di esprimere tutta la sua personalità, grande o piccola”. Il pittore francese diceva inoltre che “tutte le cose sono permeate dalla geometria e possono essere ricondotte alle forme essenziali di sfera, cilindro e cono.” Riuscire a forgiare queste forme cilindriche, scomporle e ricomporle come in un gioco, ha decretato la nascita della nuova arte, nobilitando il materiale utilizzato in passato per umili utilizzi.
Il merito di Franco Zaccagnino è quello di aver portato all’attenzione del pubblico l’arte Arundiana, elemento caratterizzante di questo borgo, e di aver elevato tale borgo a luogo d’arte per eccellenza. L’operazione dell’artista, insignito nel 2017 del Premio “Lucani insigni” dal Consiglio regionale della Basilicata, è di tale rilevanza che andrebbe sostenuto e supportato e l’intero borgo, con il suo Museo e le sue creature arundiane, portate ad esempio in tutto il mondo. Perché è di tale portata la sua arte e la sua genialità. Queste sono piccole capitali della cultura su cui realmente investire per renderle fruibili ed accessibili a tutti.
Eva Bonitatibus