Giornalista pubblicista
I libri sono la mia perdizione. Amo ascoltare le storie e amo scriverle. Ma il mio sguardo curioso si rivolge ovunque, purché attinga bellezza e raffinatezza.
La musica è il mio alveo, l’arte la mia prospettiva, la danza il mio riferimento. Inguaribile sognatrice, penso ancora che arriverà un domani…
Scrivere a quarant’anni indossando i panni di un settantasettenne. E sentirsi felice. Questo ha fatto lo scrittore napoletano Lorenzo Marone nel romanzo edito da Longanesi, La tentazione di essere felici, diventato presto un caso letterario. In pochi mesi il libro è già alla quarta ristampa e si parla anche di film. La tentazione di essere felici è entrato nella rosa degli 11 libri presentati al Festival di Berlino dopo una selezione tra 130 titoli provenienti da 25 paesi. Un successo conclamato che sta portando la storia di Cesare Annunziata nelle librerie di tutta Italia. Lorenzo Marone, l’autore talentuoso che parla del “coraggio delle scelte”, approda alla scrittura dopo una decennale esperienza nell’avvocatura. Lui di coraggio ne ha avuto perché ha capito che la sua strada è quella delle lettere. E non è stato facile lavorando nello studio del padre avvocato. Ma lui ci insegna attraverso le pagine di questo libro che occorre prestare ascolto alle proprie inclinazioni e dar loro voce. Noi lo abbiamo incontrato a Potenza in occasione della presentazione alla Ubik e gli abbiamo rivolto una serie di domande. In particolare gli abbiamo chiesto cosa sia la felicità per un uomo di 40 anni e cosa per uno di 77. Lui ci ha risposto così:
La felicità non è e non può essere una. Le cose che ci rendono felici a quarant'anni non possono farlo a ottanta. Alla mia età la felicità è "costruire" un progetto, la famiglia o un sogno. La puoi trovare anche nell'impugnare la mano di tuo figlio. A ottanta, credo sia l'accettare con serenità ciò che si è fatto, ciò che sei stato.
Chi è Cesare Annunziata e quando lo ha incontrato?
E' un uomo comune, con i suoi limiti e i suoi pregi, una persona apparentemente cinica ed egoista, ma, in realtà, profonda e sensibile, che a un certo punto decide di voler "cambiare" la sua vita e iniziare a godersela sul serio.
Una vita raccontata al contrario. Come cambiano le prospettive di vita per un uomo alla soglia degli 80 anni?
A ottanta anni è più facile, forse, sentirsi liberi, è più semplice "fregarsene" del giudizio altrui e di piacere a ogni costo. Il non dover piacere agli altri è una grandissima libertà.
Tema centrale del libro è il rimpianto per le “non scelte" compiute. Un invito ad ascoltare il famoso campanellino?
Sì, ognuno di noi, a volte, non sceglie, per pigrizia, poco coraggio, abitudine, paura. Invece bisognerebbe sempre decidere della propria vita, e non lasciare che siano gli altri a farlo per te, o la vita stessa.
Dedica questo libro alle persone fragili, che amano senza amarsi. Nel suo libro si parla di persone fragili e delle fragilità degli uomini, è forse un romanzo psicologico?
Si tratta di un romanzo introspettivo. Tutto quello che scrivo riguarda l'introspezione, il guardarsi dentro per cercare di capirsi, di trovare una sorta di equilibrio che ci permetta di vivere serenamente.
Un romanzo che accende i riflettori sulle persone anziane. C'è tanta solitudine, e poi?
Non c'è solo solitudine, ma anche molta voglia di vivere. Cesare Annunziata è tutt'altro che un uomo solo e triste, viceversa è uno che ama ancora molto la vita e fa di tutto per non sprecare nemmeno un giorno del suo tempo.
Si parla anche della possibilità di redenzione. A 77 anni si può ancora cambiare?
Si può cambiare fino alla fine, per fortuna. Basta solo trovare un po' di coraggio per uscire dalla propria zona di sicurezza.
Nel suo libro è raccontata la società contemporanea con tutte le sue contraddizioni. Si può dire che è uno spaccato di questa epoca in cui le tante problematiche emergono nella loro virulenza: illusione, delusione, passione, tradimento, violenza, cui fanno da contraltare l’amore, la ricerca della serenità, la tenerezza, la comprensione. Compagni di uno stesso viaggio?
Il romanzo parla di vita, e quando parli di vita, devi parlare per forza di cose di contraddizioni ed emozioni che si contrappongono di continuo.
Parliamo della cornice nella quale si svolge la vicenda: Napoli, la sua città.Le sue voci e i suoi paesaggi accolgono il lettore a braccia aperte e fanno scoprire una Napoli nuova, una città che “accoglie” tutte le diversità del mondo. Quale Napoli ci descrive?
Una Napoli "normale", diversa dalla solita che si vede in televisione. La mia Napoli è fatta di condomini come quello di Cesare Annunziata, spicchi di mondo che potrebbero trovarsi ovunque.
Il finale della storia è aperto, non si sa come va a finire, al lettore la scelta. Non c’è lieto fine né tentativo edificante, solo un lunghissimo elenco di “mi piace” chiuso da un “mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice”. Come combatte lei per essere felice tutti i giorni?
Cerco di seguire sempre le mie passioni, di essere incentrato sui miei bisogni, di coltivare la fantasia, la creatività. Cerco di "scegliere", quando possibile, le mie giornate.
Cos'è per lei la scrittura?
Un modo per esternare ciò che ho dentro, per "sfogarmi", per analizzarmi, per infilarmi in mondi diversi, dove tutto è possibile. E' una forma di auto-terapia, un modo per guardarsi dentro ed entrare in contatto con il proprio Io più profondo.
Eva Bonitatibus
E’ nata! La rivista culturale www.goccedautore.it è una testata giornalistica a tutti gli effetti. Magari è solo un numero in più. Di sicuro è un altro giornale online che si aggiunge al già lungo elenco di testate giornalistiche esistenti.
Può darsi che non sia originalissimo nella sua idea. Ma certa è la convinzione di questo progetto editoriale. La forza viene dall’aver realizzato un sogno: pubblicare un giornale in una piccola cittadina del Sud Italia che dialoghi con il mondo intero. Una suggestiva ambizione. Una sfida alle macabre statistiche sull’editoria, una iniezione di ottimismo in un momento di forte empasse. Parlare di letteratura, musica ed arte oggi è importante. Si, ma a chi? Chi volete che legga di libri, di musicisti, di opere d’arte, di gallerie? Siamo nel mare magnum delle informazioni, perché leggere proprio noi? Ce lo siamo chiesti ripetutamente durante le lunghe riunioni di redazione che hanno accompagnato il nostro percorso.
E la risposta è arrivata da Audipress, società milanese che si occupa di indagini sulla lettura di giornali, che in questi giorni ha pubblicato i risultati di un sondaggio a dir poco strabiliante. Dice infatti Audipress che i lettori digitali nell’ultimo trimestre 2014 sono oltre 2,5 milioni, una crescita esponenziale che modifica i comportamenti degli italiani che preferiscono il web al cartaceo, rovesciando una logica che fino a qualche tempo fa ci voleva tutti indifferenti. Ma prima ancora dei risultati del sondaggio, la risposta ci è arrivata dal nostro consulente ICT, che ci riporta ogni quindici giorni le statistiche rilevate dal nostro sito prima che fosse registrato con l’eloquente numero 451 presso il Tribunale di Potenza [vi invito a leggere l’articolo di Rocco Infantino]. Da settembre 2014 ad oggi abbiamo infatti ottenuto circa settantamila visualizzazioni. Numeri che ci fanno pensare che parlare di cultura non sia poi così demodé. Numeri che ci motivano ad andare avanti. E oltrepassando la logica delle cifre, a noi piace pensare di aver creato una piccola comunità che sta crescendo intorno ad un progetto di più ampio respiro. Oggi esce il numero 0, anno I della rivista online e siamo tutti col fiato sospeso per un evento che è simile a quello della nascita di un figlio. L’attesa è stata lunga, ma il parto ci ha fatto capire chi siamo. Genitori di una nuova creatura editoriale che oggi vede la luce per la prima volta e che avrà bisogno di tutte le cure per crescere sana e forte. La vera sfida è quella di proseguire sulla strada tracciata: continuare a puntare gli occhi sul resto del mondo stando con i piedi radicati nella nostra terra. “Stare come roccia con le ali”, un motto che faremo nostro volendo mantenere inalterata la nostra identità, anzi affermarla a voce alta, parlando tutte le lingue del web. Intanto approfitto di questo spazio inaugurale per ringraziare coloro che hanno creduto nel valore di questa idea e stanno contribuendo con la loro serietà e professionalità a farla decollare. Sono i redattori e gli informatici della rivista www.goccedautore.it: Annachiara Blasi, Virginia Cortese, Vito Coviello, Toni De Giorgi, Serena Gervasio, Rocco Infantino, Vincenzo Pernetti. Un grazie ad Agnese De Donato e al suo prestigioso bagaglio di esperienze. Grazie a quanti vorranno leggerci e sostenere la nostra creatura!
Eva Bonitatibus
Dalle stagioni del commissario Ricciardi ai casi dell’ispettore Lojacono, dalla Napoli anni ’30 a quella contemporanea, dal noir al poliziesco, dai vicoli colorati e chiassosi agli ambienti grigi di Pizzofalcone. Un filo mai interrotto della narrazione lungo il quale si snoda l’intera vicenda letteraria di uno degli scrittori italiani più letti di quest’ultimo decennio. Maurizio de Giovanni, napoletano di nascita e di fede, dal 2005 ad oggi ha dato alle stampe oltre trenta titoli, tra romanzi e racconti, inaugurando fortunate serie di noir da cui sono state tratte anche fiction televisive. Un successo di lettori e di critica dovuto al modo accattivante di scrivere le storie, al saper mescolare sapientemente cronaca e sentimento, ferocia e passione, tecnica e talento. Maurizio de Giovanni scrive con la testa e con il cuore, commuove e si commuove. E’ uno scrittore vero che non usa artifici per conquistare il pubblico e i suoi romanzi sono stati giustamente definiti “neri sentimentali”. Lo abbiamo incontrato alcuni anni fa a Potenza, in occasione della presentazione del suo libro Il metodo del coccodrillo, e ci ha conquistati. Oggi lo abbiamo cercato di nuovo per rivolgergli altre domande e la sua immediata disponibilità ci ha entusiasmato.
Quando nasce la sua passione per la scrittura e in particolare per il “giallo”?
E’ una passione relativamente recente, risale a dieci anni fa. Alcuni amici mi iscrissero per scherzo a un concorso e io lo vinsi; era un concorso per giallisti. Tutto molto per caso, dunque. Come ogni cosa bella.
Le storie che racconta sono intrise di una grande napoletanità, anche l’ultimo, Il resto della settimana, in cui parla della sua passione per il calcio e della sua squadra del cuore. La sua città fa da sfondo a tutti i suoi romanzi, perché?
Credo che un libro sia un viaggio, o almeno dovrebbe esserlo, e uno scrittore solo una specie di guida turistica. Deve portare il lettore, perciò, in un luogo e in un tempo che conosce, per poterlo raccontare realisticamente e in ogni aspetto. Io racconto la mia città, perché è un meraviglioso territorio che produce storie in continuazione.
Gialli ambientati in varie epoche storiche ma che ruotano intorno ad efferati omicidi passionali. Quanto “pesca” dalla realtà?
Più che nella realtà, nella natura umana. Il delitto purtroppo fa parte di noi fin dall’origine della specie, e affonda le radici nelle passioni primarie. Raccontare il crimine significa raccontare una parte di noi che non ci fa piacere accettare, ma che esiste eccome.
I suoi personaggi sono un po’ picareschi, alcuni caratterizzati da nobili sentimenti altri invece si rivelano imbroglioni e spregiudicati. Tutto è cominciato con il fatidico commissario Ricciardi, e poi?
E poi Ricciardi e io ci siamo guardati attorno, e abbiamo scoperto un intero mondo di persone e sentimenti ed emozioni, che è stato ed è bello raccontare nella sua immensa varietà.
Nei suoi gialli c’è un retrogusto romantico. E’ un tratto autobiografico dell’autore?
Io credo che chiunque, sotto la crosta di una difesa dalla sofferenza più o meno consolidata, sia romantico. Crediamo nell’amore e in quello che può diventare, se sottoposto a gelosia o invidia. Ne siamo testimoni giorno dopo giorno, e raccontiamo questo.
I suoi protagonisti sono tutti uomini. E’ una scrittura al maschile? Secondo lei è giusto parlare di scrittura di genere?
Credo che le donne nei miei romanzi siano assolutamente protagoniste, e qualsiasi lettore può verificarlo facilmente. Maschili sono solo i veicoli che utilizzo per percorrere la vicenda, la prospettiva per così dire: ma le vere protagoniste sono le donne. Su questo non ho alcun dubbio.
Per lei la letteratura ha più valore di restituzione o di identificazione?
Né l’una né l’altra. Per me la letteratura dev’essere il racconto di storie, di altri mondi e altri tempi e altri spazi in cui rifugiare la propria immaginazione.
Quali messaggi vuole tramettere attraverso i suoi romanzi?
Mi dispiace, ma non trasmetto messaggi né mi interessa farlo. Io racconto solo storie.
Tanti premi e numerosi riconoscimenti per la sua produzione narrativa confermano il valore della sua letteratura. Qual è il segreto del suo successo?
Magari ci fosse un segreto: saprei come mantenere e incrementare questo meraviglioso momento. Credo solo di aver trovato qualche personaggio interessante da raccontare.
Cosa rappresenta per lei la scrittura?
Un modo molto divertente e gratificante per guadagnarmi il tempo di leggere.
Eva Bonitatibus
“Nessun uomo è un’isola. Ogni libro è un mondo.” E’ l’insegna un po’ sbiadita che si trova all’ingresso di una piccola libreria situata su un’isola, Alice Island. 55 metri quadrati di libri, di pile precarie di bozze rilegate lungo il corridoio, un reparto per la letteratura infantile molto piccolo, titoli di narrativa di qualità. Una scala interna porta all’appartamento al piano di sopra. Ci abita il proprietario di “Island Books”, A.J. Fikry, un vedovo inaridito dal lutto, il protagonista de La misura della felicità di Gabrielle Zevin. Un romanzo che ha il sapore del mare d’inverno, il profumo delle pagine e il senso della caducità. Ma è soprattutto una storia che parla d’amore per la vita e per la letteratura. Un libro che invita a “sfogliare” se stessi e ad interrogarsi sulle verità scritte sulla carta velina della propria anima. Un’opera che invita ad uscire dal proprio “ripiano” per andare incontro al mondo sulle ali di un libro. “Tutto quello che ti serve sapere di una persona lo capisci dalla sua risposta alla domanda: qual è il tuo libro preferito?”.
La moglie di A.J., Nic, era una scrittrice, oltre che la titolare della libreria. Era lei a mantenerla viva organizzando presentazioni di libri, gruppi di lettura, curando la scelta dei titoli, dispensando consigli alla clientela. La sua morte portò una fitta nebbia nella sua vita.
E’ l’arrivo de La fioritura tardiva a modificare il corso delle cose e a riaccendere l’interesse nell’uomo per la letteratura e per la vita. Un memoir sulla possibilità di trovare il grande amore a qualsiasi età. Ma è soprattutto la presenza di due persone a stravolgere la vita ormai piatta e monotona di A.J.: Maya e Amelia. La prima è una bambina abbandonata nella libreria che lui adotta e cresce tra libri e letture. La seconda è un’agente della Knightley Press in visita all’Island Books per la cedola invernale con cui poi si sposerà. La loro presenza riconduce pian piano A.J. verso l’amore per i libri, “ogni storia arriva al momento giusto”, e riporta su un piano nuovamente umano l’austero proprietario dell’unica libreria dell’isola. Un luogo che si ammanta di fascino per il paesaggio alle volte cupo che l’oceano regala tutt’intorno e per le storie delle persone che vi abitano.
Tutta la storia gioca con citazioni di titoli e frasi dei più famosi romanzi, anche i pranzi dei protagonisti prendono spunto dalle pietanze dei libri menzionati. Si parla di scrittori, di come si scrivono i racconti, della autenticità delle trame, di come nasce la passione per la scrittura, di talenti e di stroncature. La fioritura tardiva sarà soltanto un espediente utilizzato da Gabrielle Zevin, per parlare di amore senza barriere verso i libri e verso gli altri.
Eva Bonitatibus
Sono stata felicissima della mattinata trascorsa tra arte e musica. Ad un certo punto ho immaginato di poter entrare in uno di quei quadri scherzando e giocando con tutti quegli splendidi colori (Roberta). Per dipingere bene si ha bisogno della musica, dell’armonia, dell’immaginazione (Sara). E’ stata proprio una giornata emozionante che mi ha fatto capire quanto sia bella ed importante l’arte! (Lucio). L’arte è questione di fantasia, ma anche di bravura (Giovanni). Oggi ho capito che l’arte significa esprimere se stessi (Mattia). Spero di ripetere questa meravigliosa giornata perché ho capito che c’è arte in ciascuno di noi (Stefano Pio). Questa mostra mi ha insegnato a capire che i quadri oltre a guardarli si possono anche ascoltare, ossia capire cosa voglia esprimere l’artista: i suoi sentimenti (Elena). Voglio che la galleria non chiuda mai perché da grande voglio vedere di nuovo, sentire di nuovo quadri e musica, ritmi e melodie (Aurora).
Sono soltanto alcuni dei pensieri espressi dagli alunni di una quarta elementare dopo aver visitato una mostra d’arte figurativa. Una esposizione che ha unito la pittura e la musica e che ha trovato nell’uso del colore la sua chiave di lettura. Colori vivaci, forti, sgargianti che hanno dato vita ad inedite scene popolate da personaggi stravaganti e paesaggi sagomati. Toni briosi, con sfumature nostalgiche, hanno donato dinamicità alle immagini fermate nei quadri collezionando melodie vibranti di emozioni. Vasilij Kandinskij diceva che “il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde”. Dunque i bambini che hanno fruito della piacevolezza dei linguaggi artistici hanno saputo apprezzare il bello della creatività. Si sono lasciati condurre dalla musica verso la contemplazione attiva delle opere d’arte e in un clima di composta libertà hanno lasciato vagare la propria fantasia. Hanno indagato le figure dei quadri, hanno perlustrato gli spazi delle tele, hanno osservato la diversità dei materiali utilizzati. Sono entrati ed usciti dai quadri. Hanno prestato ascolto alla musica prodotta dai colori e dalle forme ed hanno guardato la musica che con le sue note ha descritto le scene rappresentate. Hanno giocato in un nuovo cosmo. Una narrazione fluida che i bambini di 9 anni hanno gradito mostrando maturità di pensiero e di elaborazione. E questo grazie alla sensibilità dei loro insegnanti e dei dirigenti scolastici che hanno acconsentito che i piccoli visitatori vivessero un’esperienza emozionale forte.
Un atteggiamento di apertura che soprattutto oggi la scuola non può non avere in un momento di veloce transizione verso abitudini e valori in evoluzione. Una scuola che educa alla sensibilità e alla capacità di osservazione è una scuola che traccia percorsi certi e che punta all’eccellenza della formazione. Non è ovvietà né luogo comune affermare che soltanto attraverso le esperienze dirette i bambini imparano a conoscere il mondo. Lo dimostrò la Montessori con la teoria dell’apprendimento per scoperta e per costruzione delle conoscenze, un approccio educativo riconosciuto in tutto il mondo.
E le esperienze di questi piccoli osservatori dell’Istituto Comprensivo “Torraca-Bonaventura” di una ancor più piccola città del Sud Italia che è Potenza in una “piccola stanza tutta colorata” che è la sede del Circolo culturale Gocce d’autore dove si è tenuta la mostra “Cosmo gioco” di Enzo Bomba, confermano ancora una volta la validità del pensiero della grande pedagogista. La scuola che educa al pensiero divergente è una scuola vincente, la scuola che educa all’arte è una scuola che insegna ad amare. Amare. Amare è un altro verbo che non conosce l’imperativo, come il verbo leggere. E’ un bisogno, è un istinto, è una sospensione. E i bambini che imparano presto ad osservare il mondo con gli occhi dello stupore solo quelli che non smetteranno mai di amare e di considerare la vita come la più grande opera d’arte dell’universo.
Eva Bonitatibus