Apr 20, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

Di quale sostanza si compongono le nostre attese? In evidenza

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Una visione, un rivolo di speranze e una molteplicità di destini

Nell’analisi generale del proprio percorso di vita, non di rado ci si è imbattuti sulla strada dei desideri, sulle domande di senso, sui grandi interrogativi esistenziali. Tra essi, quelli più significativi riguardano, senza dubbio, quell’elenco di attese che ciascuno custodisce.

 

Ma di quale sostanza si compongono le attese? Che cosa rappresentano plasticamente nei nostri destini? Lo psichiatra e saggista, Eugenio Borgna, nel suo “L’attesa e la speranza” (Feltrinelli), ha spiegato magistralmente: “Non ci sono attese, e non ci sono speranze, se non nel contesto del tempo”. E parlando della varietà del concetto ha scritto: “Ci sono linee tematiche diverse nell’attesa e nelle attese; vorrei richiamarmi alle attese che riemergano dagli occhi e dagli sguardi (attendere è aspettare e aspettare è anche guardare). Cogliere le molteplici dimensioni dell’attesa, le sue figure scintillanti e dolorose, è avvicinarsi al nocciolo segreto della vita e della vita di relazione”. Una strada che si intreccia e che richiama le illuminanti riflessioni del teologo e filosofo, Vito Mancuso, racchiuse nel volume “A proposito del senso della vita” (Garzanti), che sulla questione “prima” della esistenza, ha espresso: “Il senso della vita è una costruzione. Una nostra costruzione, non ancora finita e che mai lo sarà, ma che sempre avviene e si va facendo, a volte anche disfacendo. (…) Il verbo latino existere significa «uscire fuori»: da dove? Parafrasando la metafora della vita, resa celebre da Platone, è come se noi fossimo originariamente collocati in una caverna, la quale ci impone la sua necessità in termini di nutrimento, riproduzione, riconoscimento sociale, ovvero di quei bisogni primordiali che fino a quando rimaniamo nella caverna, determinano il perché e il come viviamo. Inizia a esistere chi esce dalla caverna, liberandosi dalla prigionia naturale determinata dai bisogni istintuali. (…) Si distacca da quelli rimasti dentro, dicendo: «Io invece». Da queste parole ha inizio la ex-sistentia”.

Quali sono gli approcci, le accoglienze che ognuno riserva alla propria lista di proiezioni? Dice ancora Borgna: “Sono diversi i modi di vivere il tempo dell’attesa: è un tempo che corre precipitosamente verso una meta, verso un altrove, è un tempo che si arresta in un qui-e-ora immobile, o è un tempo che si riempie di angoscia: un’attesa inquieta di qualcosa che non si conosce e che si teme? (…) Un tempo che cambia, in ogni caso, il suo andamento: non annegando più nella distrazione e nella insignificanza e che si raccoglie, invece, nella captazione di ogni istante. Recuperato nel suo valore e nella sua sorgente di valori. Come dice Eugène Minkowski, l’attesa ha in sé, come sua dimensione radicale, l’avvenire (il futuro)”.

Proiettare, un po’ come avere uno sguardo, una visione in un “oltre”, ci sollecita, inevitabilmente, a profilare la dimensione più squisitamente umana: “L’attesa – continua Borgna -  è una esperienza psicologica e gli scenari sono davvero senza fine: a mano a mano, che gli anni scorrono, certo, cambiano i contenuti, gli orizzonti di senso e in ciascuna, non può non esserci un comune leitmotiv, quello dell’avvenire, nelle sue infinite possibilità”.

Che si tratti o meno di una scommessa, il cui responso ricada nell’ordine delle più bizzarre probabilità, ciò che a parere di chi scrive, fa realmente la differenza è la tensione verso il nucleo sostanziale delle cose. Quindi delle attese.

Citando il saggio della scrittrice, Ginevra Bompiani, “L’Attesa”, Borgna conclude, riportando alcuni passaggi interessanti della stessa: “Essa ha, dunque, due tensioni diverse; una tendenza a perdurare  e una tendenza a smettere. Ma dove attinge l’attesa la sua risoluzione (di perdurare o di smettere), la sua energia, la sua pazienza e la sua impazienza? È forse libera, l’attesa, di agire in una direzione o nell’altra? Non lo è. Non possiamo decidere di entrare in uno stato di attesa o di uscirne. Forse questa decisione esiste, ma non siamo noi a prenderla. L’attesa è una passione. Si attiva, come ogni passione, al richiamo del suo oggetto. L’attesa è una vocazione. Dio, la musa, il padrone, l’oggetto”.

Ci piace concludere, collegando l’attesa alla vocazione, alla destinazione, allo scopo ultimo per il quale si affrontano i passi sulla terra: “Il senso della vita ci appare così alla luce di qualcosa più grande di noi, perché esso consiste nello spendersi per qualcosa di più grande di noi. Tale spendersi che Marco Aurelio chiamava sinergia, noi lo possiamo anche chiamare amore”- ha suggerito Mancuso.

E per noi, è valevole di considerazione.

Virginia Cortese

Virginia Cortese

Giornalista pubblicista

Appassionata e onnivora lettrice

Considero i libri come finestre sulla vita, da aprire costantemente per imparare come comportarsi sulle strade del mondo.

I miei libri guida sono La Nausea di Sartre, Amore Liquido di Bauman e Il Libro del riso e dell’oblio di Kundera.

Mi piace contemplare e vivere il Bello, perché sono convinta che sia davvero l’antidoto al male. Adoro l’arte, la corrente espressionistica è senza dubbio quella che mi rappresenta in modo totale, il mio quadro del cuore è Notte Stellata sul Rodano di Van Gogh.

Una visione romantica e di prospettiva sulle cose non può esulare dal ri-conoscersi in un’opera lirica, la mia è La Bohème di Puccini.

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