Giornalista pubblicista
Appassionata e onnivora lettrice
Considero i libri come finestre sulla vita, da aprire costantemente per imparare come comportarsi sulle strade del mondo.
I miei libri guida sono La Nausea di Sartre, Amore Liquido di Bauman e Il Libro del riso e dell’oblio di Kundera.
Mi piace contemplare e vivere il Bello, perché sono convinta che sia davvero l’antidoto al male. Adoro l’arte, la corrente espressionistica è senza dubbio quella che mi rappresenta in modo totale, il mio quadro del cuore è Notte Stellata sul Rodano di Van Gogh.
Una visione romantica e di prospettiva sulle cose non può esulare dal ri-conoscersi in un’opera lirica, la mia è La Bohème di Puccini.
«(…) il tempo è l’unico paesaggio che l’uomo, nel suo limite, può abitare con davanti agli occhi l’orizzonte che solo illusoriamente si sposta con il nostro incedere. Di nuovo, il tempo come mescolanza, come strana miscela di erranza e di dimora». Una considerazione stringente che il filosofo Galimberti ci ripropone, e a cui obbediamo, in virtù del fatto che apprezziamo gli infinitesimi squarci di probabilità che in un “periodo” più grande, intendiamo definire come tempo. Ma come ci si regola con gli stessi infinitesimi e dunque, con gli istanti?
Il sogno - Matisse
Ne “L’interpretazione dei sogni”, Sigmund Freud, il padre della psicanalisi cita lo storico tedesco Konrad Burdach che del sogno ha scritto come «dell’attività naturale della psiche che non viene limitata dal potere dell’individualità, che non viene turbata dall’autocoscienza e nemmeno diretta dall’autodeterminazione, ma è la vitalità dei centri sensoriali che operano liberamente».
“Il luogo è il limite immobile primo del contenente”. Aristotele (il testo cui ci riferiamo è Fisica) ha sintetizzato così un concetto che ci interroga trasversalmente (ignorando qualsivoglia logica temporale!), ossia quello del “luogo”.
Le giornate che si susseguono siglano una struttura (logica e di pensiero) di attraversamento, che non può escludere in certe prospettive di visione, concetti imprescindibili, quali la comunità e il potere. Dimensioni senza dubbio coniugabili trasversalmente e che interrogano diverse altre sfere congiunte. Dalla democrazia, alla speranza, dalla responsabilità, all’esercizio della libertà, dalla identità individuale e fino a quella collettiva, comunitaria.
Che cos'è un confine?
«Se da una parte ci ricorda un muro, e dunque l'idea di qualcosa di invalicabile che divide i popoli, dall'altra parte suggerisce, invece, l'idea di un luogo, al di là del quale, è possibile incontrarsi. – sottolineava sulle colonne della Gazzetta di Modena, il sociologo e pensatore, Zygmunt Bauman in occasione del Festival della Filosofia di Modena, Carpi, Sassuolo, nel 2015 – Attraversare un confine significa dialogare oppure farsi la guerra». «Il confine protegge – scriveva, altrove, il teorizzatore della “società liquida”- (o almeno così si spera o si crede) dall'inatteso e dall'imprevedibile: dalle situazioni che ci spaventerebbero, ci paralizzerebbero e ci renderebbero incapaci di agire. Più i confini sono visibili e i segni di demarcazione sono chiari, più sono “ordinati” lo spazio e il tempo, all'interno dei quali ci muoviamo. I confini danno sicurezza. Ci permettono di sapere come, dove e quando muoverci. Ci consentono di agire con fiducia».
Parole di grande ispirazione. Che esulano dal significato, per aprire a significanti trasversali.
In obbedienza di tale poliedricità, abbiamo raccolto il parere di un intellettuale della nuova generazione, il poeta potentino, Andrea Galgano che è anche docente di Letteratura presso la Scuola di Psicoterapia E. Fromm di Prato-Padova.
Che cos’è il confine, in letteratura?
Non esiste. Il termine, dal latino cum finis, da una parte indica lo spazio che separa due luoghi, ma ha, anche, a che fare con le cose ultime, con lo scopo dell’essere. La letteratura indaga la vita, l’amore e la morte.
E in psicoanalisi?
Può riguardare anche un aspetto relazionale, per così dire; però, il confine dell’Io è un’apertura al Tu, quindi all’Altro. Noi siamo Io-in relazione, per dirla con il Cardinale Scola.
Quali sono gli scrittori che per primi si sono occupati del tema? Attualmente, ve ne sono altri cui far riferimento per una comprensione estesa?
Citeremo quattro nomi. Il primo è Dante, perché ha dimostrato nelle tre Cantiche che il confine umano ha attinenza con le stelle, visto che ogni cantica si conclude proprio con la parola stelle; il secondo è Shakespeare, che ha guardato anche all’aspetto conflittuale dell’Io. E ancora, Dostoevskij in cui anche la letteratura diviene campo psichico, in cui domina la lotta tra bene e male; infine, Kafka, in cui si assiste alla metamorfosi dell’Io.
Volendo tracciare un excursus storico, trova che l’ontologia del concetto abbia subito variazioni?
Il concetto subisce sempre variazioni e ciò dipende dal tempo in cui viene collocato. Può essere rivestito di sacralità, se si pensa alle “pietre di confine”; lo si può considerare come “rito di passaggio”, in un rapporto sociale, se si pensa alle civiltà greca e latina e in ultimo, in riferimento alla cultura celtica, i confini sono fratture tra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Che cosa è, per lei, il confine?
Per me, il confine è l’avamposto di Dio. Leopardianamente, il rapporto tra finito e infinito. Il confine è un anelito dell’uomo e della sua ragione commossa. L’infinito è ciò per cui siamo fatti. Leopardi se ne accorge con quel vento (E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando), entrando nella scrittura indecifrabile del mondo.
Volendosi attenere all’etimologia, il termine richiama chiaramente al senso del limite. Esiste, per lei, una visione altra, alternativa e non squisitamente determinata?
L’uomo è un essere finito, è precarietà, è finitudine, è fragilità. Questo, tuttavia, non gli preclude di poter dialogare sempre con ciò che è più grande di lui.
Virginia Cortese