Giornalista pubblicista
I libri sono la mia perdizione. Amo ascoltare le storie e amo scriverle. Ma il mio sguardo curioso si rivolge ovunque, purché attinga bellezza e raffinatezza.
La musica è il mio alveo, l’arte la mia prospettiva, la danza il mio riferimento. Inguaribile sognatrice, penso ancora che arriverà un domani…
Sarà a Livorno e a Napoli nel prossimo mese di aprile per individuare giovani danzatori. Il nuovo talent scout in Italia della Rotterdam Dance Accademy, la più importante accademia di danza d’Europa, Michele Pogliani ha ricevuto da poco la prestigiosa nomina che gli consentirà di “promuovere” nuovi talenti cui offrire concrete possibilità per l’inizio della loro carriera. Il danzatore e coreografo italiano dalla lunga e luminosa carriera racconta in questa intervista la sua vita per la danza, le sue esperienze professionali, la sua filosofia sul corpo e sul superamento dei propri limiti. Racconta anche le nuove frontiere della danza, di come i nuovi approcci ai linguaggi virtuali possano dare vigore al gesto e al movimento. Ma il nostro ospite fa anche un’analisi sullo stato dell’arte tersicorea in Italia e con una punta di rammarico ne denuncia la scarsa attenzione nella quale viene considerata.
Michele Pogliani, definito dalla critica danzatore e coreografo dell'osservazione per il suo "movimento dello sguardo" e per l'intensità del gesto. Cosa deve essere la danza? Un linguaggio, un'esperienza emozionale o un modo per stare al mondo?
Per quanto mi riguarda la danza è sicuramente un’esperienza corporea, un viaggio emotivo e un linguaggio. Ho sempre pensato alla danza come a una scelta di vita, una necessità da cui non si può prescindere. Che si parli di un linguaggio astratto piuttosto che di un linguaggio teatrale, espressivo è un percorso che partendo dal nostro corpo si dirama alla nostra coscienza. Non si può scindere il piacere e l’esperienza fisica dal nostro essere emotivo ed intellettuale. Se questo non avviene, il viaggio è incompleto.
Come e quando si è avvicinato all'arte tersicorea?
Molto tardi, all’età di 17 anni. Mia madre mi portava spesso a vedere i grandi balletti classici. Mi appassionai al punto di voler diventare un critico di danza consapevole che non sarei mai riuscito a recuperare il tempo perduto. Cominciai a studiare con Elsa Piperno per avere gli strumenti per capirne di più. Mi sbagliavo! Dopo la prima lezione di Graham volevo fare solo quello, ballare. E così è stato.
Dodici anni a New York nei primi anni '80. Un'esperienza da sogno al Merce Cunningham, a contatto con grandi coreografi, nella Rosalinda Newman and dancer, nella Laura Dean dancer and musicians, nella Lucinda Childs dance company con cui ha fatto il tour mondiale Einstein on the Beach di Robert Wilson e Philip Glass. Cosa porta con se' di questa straordinaria avventura?
Vivere gli anni 80 a NY è stato un privilegio immenso. L’America era un focolaio di artisti, pittori, scrittori, poeti, musicisti e coreografi. Si era liberi di creare e di pensare l’impossibile. Dopo una prima esperienza con Rosalind Newman, che mi ha insegnato la dedizione necessaria per diventare un danzatore, mi sono subito interessato al movimento minimalista in tutte le sue forme. La mia prima esperienza fu con Laura Dean, coreografa e musicista minimalista e storica collaboratrice di Steve Reich. Lavorare in seguito con Lucinda Childs fu il coronamento di un sogno. Da lei e, successivamente da Robert Wilson, ho imparato tutto quello che so oggi a livello coreografico, registico e di illuminazione della scena. Lucinda mi ha cambiato la vita, Wilson l’ha raffinata.
Da Merce, dove ho studiato i miei primi anni nella grande mela ho imparato che tutto è possibile; i limiti sono solo linee immaginarie che delineano la nostra insicurezza, ma se si vuole fare arte bisogna essere disposti a superarli, a combattere i propri fantasmi e ad infrangere i propri tabù.
Com'è cambiata la danza da allora?
Credo che l’America abbia subito un’involuzione dopo la progressiva perdita dei grandi maestri che hanno dato vita alla Danza Moderna e al post modernismo. L’interesse si è sicuramente trasferito in Europa e in Israele, dove una nuova generazione sta sperimentando e portando la danza a grandissimi livelli. Quello che forse mi manca oggi è la firma, il segno distinto dei nuovi coreografi. Il metodo di lavoro è cambiato, ci si affida molto di più all’apporto dei propri danzatori. Questo, da una parte, ha arricchito il linguaggio, dall’altra ha creato una leggera perdita di identità da parte del coreografo che delle volte si può definire un vero e proprio regista. Stiamo vivendo un momento storico in cui i grandissimi talenti si sprecano, peccato però che l’attenzione per la danza (soprattutto in Italia) sia immensamente calata.
La sua straordinaria vita da danzatore lo ha portato sui grandi palcoscenici del mondo in qualità di interprete e di coreografo. Ha anche fondato una sua compagnia, CMP, nel 1997 e sciolta nel 2005. Il suo debutto fu "Il Rosario di Umili Meraviglie", uno spettacolo che parlava dell'amore inteso quale eterna e disperata lotta. Oggi che posto occupa questo tema nella sua arte?
Dopo il Rosario, ho lavorato su tematiche completamente diverse. Ero affascinato, insieme ai miei collaboratori, dalle nuove tecnologie, dal video gioco, per tornare al gioco analogico, al musical e all’aspetto ludico della danza. Dal 2008, dopo la morte del mio compagno, sono tornato a un aspetto più umano della danza. Il tema dell’amore, della seduzione, dell’ispezione del corpo sono tornate a guidare le miei creazioni.
Uno stile che fonde "la contemporaneità dell'avanguardia e l'eternità del classico" e che esalta il rapporto tra il corpo e lo spazio. Nell'era virtuale come cambia questa relazione?
Il virtuale è spesso considerato freddo e distaccato rispetto all’esperienza dal vivo. Non sono d’accordo. Credo che, ad esempio, il video sia diventato uno strumento di facile presa e fruibile a un pubblico molto vasto. Ciò che è importante è l’uso che uno ne fa. Grandissimi artisti si cimentano con questo strumento da anni, così come molti giovani artisti oggi. L’impatto può essere estremamente forte e toccante. Il video ha un potere mediale di grandissimo impatto, come il cinema d’altronde. La danza trasposta su video, certo, perde l’emozione e la fragilità dell’esperienza live, ma non per questo è meno forte o emotivamente fredda. Da qualche anno mi sto dilettando anch’io con questo mezzo e ne sono completamente affascinato.
Dallo scorso mese di Gennaio e' stato nominato ufficialmente Talent Scout in Italia per la CODARTS di Rotterdam, una delle Accademie più prestigiose d’ Europa, di cui e' stato coordinatore sotto la direzione artistica di Samuel Wuersten. Quale sarà il suo compito?
Lavorare alla Codarts e soprattutto con Samuel è stata un’esperienza fondamentale. Ne avevo gli strumenti e credo di aver dato un apporto importante. Ora dopo undici anni di collaborazione con loro sono felice mi abbiano dato questo riconoscimento. Di fatto si tratta di individuare giovani di talento a cui poter offrire borse di studio o inviti ufficiali alle audizioni che l’accademia tiene in Italia grazie all’AED di Livorno, partners ufficiali della Codarts.
Ha fatto un cenno al suo rapporto con l'Italia. Come giudica lo stato di salute della danza in Italia?
Purtroppo il mio rapporto con il nostro paese è da sempre piuttosto conflittuale. Trovo sia un paese meraviglioso con il potenziale di essere un paradiso e dove vivono grandi menti. Ma questo rimane, a mio parere, solo latente. Di fatto è un paese che culturalmente è sprofondato ai minimi storici. La danza, ovviamente, è la prima a risentirne.
Coreografo e maestro di danza contemporanea, collaboratore dell’AED di Livorno, coordinatore del Triennio Alta Formazione presso la Formazione Bartolomei a Roma, quali valori trasmette ai suoi ballerini e allievi?
Come dicevo prima, la danza è un percorso e non solo una disciplina. Insegnare danza ai giovani è per me una scusa per accompagnarli nel loro viaggio della vita. Un danzatore senza cultura, etica, morale e passione sarà solo e sempre un bravo esecutore. Se di arte stiamo parlando, questo non basta. Dico sempre ai miei allievi che per essere un danzatore o danzatrice completi bisogna affrontare una sorta di catarsi. Quello che si è in sala non differisce così tanto da quello che si è nella vita come persona. La danza spaventa. Il rapporto che si crea con la nostra immagine riflessa allo specchio, il contatto e la percezione del nostro corpo, della nostra sessualità, il rapporto con gli altri e la possibilità di esprimersi solo con il nostro corpo sono tutti elementi che vanno affrontati con coraggio e senza limiti. In QUESTO la danza non è per tutti.
Come deve essere il danzatore per Michele Pogliani? Quali requisiti e quali qualità deve possedere?
Deve essere consapevole di se stesso e padrone dei propri mezzi. Disponibile e aperto a qualsiasi esperienza coreografica gli si proponga. Avere un proprio stile e naturalezza nel movimento. Essere elegante e sensuale, forte ma morbido e deve amare questo lavoro.
Eva Bonitatibus
Imparare a comprendere ed apprezzare un testo. Questo il pensiero di Piero Dorfles, giornalista e critico letterario trai più affermati in Italia. lo abbiamo cercato perché solleticati dal suo ultimo libro, “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita”, un saggio che racconta i romanzi che rappresentano i pilastri della letteratura mondiale. Piero Dorfles è nipote del noto critico d’arte Gillo Dorfles, frequentatore abituale della libreria di via Ripetta a Roma ideata e gestita dalla Signora Agnese De Donato che pure abbiamo ospitato in questa sezione della rivista. La sua formazione intellettuale ha sicuramente tratto giovamento dall’ambiente nel quale è cresciuto e i frutti di tali stimoli risiedono tutti nella sua vita spiritualmente ricca. E’ infatti stato responsabile dei servizi culturali del Giornale Radio Rai ed ha condotto il programma televisivo “Per un pugno di libri” in onda su Rai 3. Ha curato dal 2007 la rubrica radiofonica “Il baco del millennio” per Radiouno. Ha scritto vari libri tra cui “Atlante della radio e della televisione” (Nuova ERI 1988), “Guardando all’Italia” (Nuova ERI 1991), “Carosello” (Il Mulino 1998) e “Il ritorno del dinosauro, una difesa della cultura” (Garzanti libri 2010). Piero Dorfles è stato ospite di Gocce d’autore a Potenza per la presentazione del suo ultimo lavoro nel giugno 2014 e oggi lo abbiamo contattato per un dialogo sul valore della lettura e dei libri e sul loro rapporto con la popolazione. Ma prima di tutto gli abbiamo chiesto come e quando nasce la sua passione per i libri e chi per primo lo ha avviato alla pratica della lettura. Lui ci ha risposto così:
“Credo che nasca con le letture che mia madre faceva a me e a mia sorella la sera, prima che ci addormentassimo. A partire da Pinocchio per passare a Salgari e a Verne.”
La lettura è una forma di assoluta dedizione che occorre saper coltivare. Per non sbagliare, soprattutto con gli adolescenti, qual è secondo lei l’approccio migliore per avvicinare i ragazzi ai libri? Quali insomma i libri da evitare e quelli da consigliare?
“Non sono sicuro che si tratti di dedizione, quanto di acquisizione di una competenza. Leggere, infatti, secondo me, non è in sé una passione ma una capacità, una competenza che, se coltivata, può produrre passione. Ecco perché non credo ci siano libri da consigliare e altri da evitare, perché coltivare la lettura è soprattutto coltivare la capacità di affrontare un testo scritto e di trarne informazione, sapere e piacere. Da piccolo ho avuto per le mani testi orribili, che però mi hanno permesso di esercitarmi ad avere dimestichezza con il meccanismo della lettura. Così penso che oggi il problema dei giovani non sia quello di affrontare letture "nobili" ed edificanti, ma di imparare a comprendere ed apprezzare un testo. Dunque va bene tutto, da Coelo a Kafka, da Baricco a Mann, da Geronimo Stilton all'Ulisse di Joyce. La capacità di giudicare i libri più adatti a sé e alla propria formazione verrà dopo. E non esiste un'età adatta: dai dodici anni in su, tutti possono leggere tutto. Meglio che un ragazzo incontri la descrizione di un rapporto sessuale nell'Amante di Lady Chatterley che in un giornalino pornografico.”
Quali sono, secondo lei, i libri che aiutano a crescere?
“Tutti. Ma i classici prima degli altri, proprio perché mettono in contatto con una forma di scrittura solida, con riferimenti importanti ai problemi dell'essere.”
E quali dovrebbero essere le letture degli adulti che vogliono cominciare a leggere?
“Stesso discorso del punto 2. Non c'è un metodo per imparare a leggere da adulti, né un testo migliore di un altro. C'è chi ha cominciato, magari dopo essere andato in pensione, con il Conte di Montecristo e chi con la Montagna incantata. A ciascuno il suo.”
Nella sua recente pubblicazione “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita” passa in rassegna i classici della letteratura universale. Quelli che secondo Italo Calvino “non hanno mai finito quel che hanno dire”. E’ questa la chiave di lettura del suo libro?
“Veramente ho cercato di seguire un altro criterio. Calvino parla dei grandi classici in assoluto, mentre nei Centolibri io ho cercato di individuare i classici che hanno una certa popolarità, che sono entrati in un modo o nell'altro nell'immaginario letterario collettivo, quelli di cui si può parlare ovunque, in treno o in un articolo, al bar o in un programma tv, perché contengono riferimenti che sono comprensibili a tutti quelli che li hanno letti e rappresentano una forma di sapere collettivo da cui tutti traiamo immagini, tropi linguistici e archetipi del comportamento umano.”
A quale ricchezza si riferisce nel suo libro?
“Potrei dire che mi riferisco a una ricchezza spirituale, intellettuale, che è certo quella che il libro ispira in primis. Ma c'è qualcosa di più terreno e materiale, dovuto al fatto che chi più legge, più sa, più conosce, più pensa, più è ricco non solo intellettualmente, ma anche economicamente. I paesi dove si legge di più hanno la maggiore crescita del Pil, dei brevetti, dello sviluppo di nuove tecnologie, di servizi più efficienti. Se si tratta di una coincidenza, è una coincidenza non casuale, perché la lettura è in sé il più alto esercizio intellettuale che possa compiere l'uomo, e - anche se non tutti i lettori e le persone colte sono migliori di quelle incolte - la intelligenza collettiva di un paese che legge è uno strumento di benessere e sviluppo che i paesi che non leggono non hanno.”
Si è buoni scrittori se si è buoni lettori. Quali sono i criteri, secondo il suo parere, per scrivere una buona storia?
“Credo che chi vuole scrivere debba prima aver letto e vissuto. La scrittura non è, come purtroppo molti pensano, il trasferire sulla carta sentimenti e sensibilità personali. E' la capacità di produrre in un racconto una realtà autonoma, realistica o fantastica che sia, che abbia una sua coerenza interna e rappresenti la trasfigurazione letteraria del nostro pensiero. La semplice trasposizione dell'esperienza in un racconto difficilmente sarà letteratura. Perché lo diventi è necessario che si sia sviluppato uno strumento di elaborazione analitica e critica che vada al di là del rispecchiamento del reale. Bisogna poi pensare che sono millenni che l'uomo racconta e scrive, e che è difficilissimo non ripercorrere sentieri già affollati. Ecco perché per scrivere è necessario conoscere bene i classici, capirne la chiave narrativa, lo strumento linguistico e l'elaborazione dei personaggi. Troppo spesso si pubblicano testimonianze sincere ma ingenue di persone che sentono il desiderio di condividere il loro vissuto ma non sono in grado di elaborarlo letterariamente. Tempo, fatica a carta sprecata.”
Qual è il suo rapporto con gli incipit? E qual è il suo incipit preferito?
“Gli incipit possono essere belli e terribili. A suo tempo Fruttero e Lucentini pubblicarono un libro con un centinaio degli incipit più significativi della letteratura mondiale. Rimando a quel testo. Io penso che alle volte - come in 100 anni di solitudine, o in Anna Karenina - un incipit dica più di un intero romanzo.”
Se dovesse scrivere un libro, dopo averne letti tanti, quale storia racconterebbe? Scriverebbe un romanzo o un racconto? E che tipo di scrittore si definirebbe: di montagna o di terre basse, per usare un’espressione di Giuseppe Lupo nel suo “Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma”?
“Se dovessi scrivere un romanzo vorrebbe dire che me ne è venuta l'ispirazione, e che sarei diventato un aspirante scrittore. Per ora non sono nemmeno quello, e quindi non posso classificarmi, perché non ho mai scritto nemmeno un raccontino.”
Se dovesse partire per un’isola deserta, quale libro porterebbe con sé?
“Mi scusi, ma per quale pazzesca casualità dovrei partire per un'isola deserta con un libro solo? Meglio niente, allora: Robinson se la cavava benissimo senza libri, e sono convinto che in un'isola deserta c'è un sacco di lavoro da fare, per sopravvivere.”
Eva Bonitatibus
Imparare a comprendere ed apprezzare un testo. Questo il pensiero di Piero Dorfles, giornalista e critico letterario trai più affermati in Italia. lo abbiamo cercato perché solleticati dal suo ultimo libro, “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita”, un saggio che racconta i romanzi che rappresentano i pilastri della letteratura mondiale. Piero Dorfles è figlio del noto critico d’arte Gillo Dorfles, frequentatore abituale della libreria di via Ripetta a Roma ideata e gestita dalla Signora Agnese De Donato che pure abbiamo ospitato in questa sezione della rivista. La sua formazione intellettuale ha sicuramente tratto giovamento dall’ambiente nel quale è cresciuto e i frutti di tali stimoli risiedono tutti nella sua vita spiritualmente ricca. E’ infatti stato responsabile dei servizi culturali del Giornale Radio Rai ed ha condotto il programma televisivo “Per un pugno di libri” in onda su Rai 3. Ha curato dal 2007 la rubrica radiofonica “Il baco del millennio” per Radiouno. Ha scritto vari libri tra cui “Atlante della radio e della televisione” (Nuova ERI 1988), “Guardando all’Italia” (Nuova ERI 1991), “Carosello” (Il Mulino 1998) e “Il ritorno del dinosauro, una difesa della cultura” (Garzanti libri 2010). Piero Dorfles è stato ospite di Gocce d’autore a Potenza per la presentazione del suo ultimo lavoro nel giugno 2014 e oggi lo abbiamo contattato per un dialogo sul valore della lettura e dei libri e sul loro rapporto con la popolazione. Ma prima di tutto gli abbiamo chiesto come e quando nasce la sua passione per i libri e chi per primo lo ha avviato alla pratica della lettura. Lui ci ha risposto così:
“Credo che nasca con le letture che mia madre faceva a me e a mia sorella la sera, prima che ci addormentassimo. A partire da Pinocchio per passare a Salgari e a Verne.”
La lettura è una forma di assoluta dedizione che occorre saper coltivare. Per non sbagliare, soprattutto con gli adolescenti, qual è secondo lei l’approccio migliore per avvicinare i ragazzi ai libri? Quali insomma i libri da evitare e quelli da consigliare?
“Non sono sicuro che si tratti di dedizione, quanto di acquisizione di una competenza. Leggere, infatti, secondo me, non è in sé una passione ma una capacità, una competenza che, se coltivata, può produrre passione. Ecco perché non credo ci siano libri da consigliare e altri da evitare, perché coltivare la lettura è soprattutto coltivare la capacità di affrontare un testo scritto e di trarne informazione, sapere e piacere. Da piccolo ho avuto per le mani testi orribili, che però mi hanno permesso di esercitarmi ad avere dimestichezza con il meccanismo della lettura. Così penso che oggi il problema dei giovani non sia quello di affrontare letture "nobili" ed edificanti, ma di imparare a comprendere ed apprezzare un testo. Dunque va bene tutto, da Coelo a Kafka, da Baricco a Mann, da Geronimo Stilton all'Ulisse di Joyce. La capacità di giudicare i libri più adatti a sé e alla propria formazione verrà dopo. E non esiste un'età adatta: dai dodici anni in su, tutti possono leggere tutto. Meglio che un ragazzo incontri la descrizione di un rapporto sessuale nell'Amante di Lady Chatterley che in un giornalino pornografico.”
Quali sono, secondo lei, i libri che aiutano a crescere?
“Tutti. Ma i classici prima degli altri, proprio perché mettono in contatto con una forma di scrittura solida, con riferimenti importanti ai problemi dell'essere.”
E quali dovrebbero essere le letture degli adulti che vogliono cominciare a leggere?
“Stesso discorso del punto 2. Non c'è un metodo per imparare a leggere da adulti, né un testo migliore di un altro. C'è chi ha cominciato, magari dopo essere andato in pensione, con il Conte di Montecristo e chi con la Montagna incantata. A ciascuno il suo.”
Nella sua recente pubblicazione “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita” passa in rassegna i classici della letteratura universale. Quelli che secondo Italo Calvino “non hanno mai finito quel che hanno dire”. E’ questa la chiave di lettura del suo libro?
“Veramente ho cercato di seguire un altro criterio. Calvino parla dei grandi classici in assoluto, mentre nei Centolibri io ho cercato di individuare i classici che hanno una certa popolarità, che sono entrati in un modo o nell'altro nell'immaginario letterario collettivo, quelli di cui si può parlare ovunque, in treno o in un articolo, al bar o in un programma tv, perché contengono riferimenti che sono comprensibili a tutti quelli che li hanno letti e rappresentano una forma di sapere collettivo da cui tutti traiamo immagini, tropi linguistici e archetipi del comportamento umano.”
A quale ricchezza si riferisce nel suo libro?
“Potrei dire che mi riferisco a una ricchezza spirituale, intellettuale, che è certo quella che il libro ispira in primis. Ma c'è qualcosa di più terreno e materiale, dovuto al fatto che chi più legge, più sa, più conosce, più pensa, più è ricco non solo intellettualmente, ma anche economicamente. I paesi dove si legge di più hanno la maggiore crescita del Pil, dei brevetti, dello sviluppo di nuove tecnologie, di servizi più efficienti. Se si tratta di una coincidenza, è una coincidenza non casuale, perché la lettura è in sé il più alto esercizio intellettuale che possa compiere l'uomo, e - anche se non tutti i lettori e le persone colte sono migliori di quelle incolte - la intelligenza collettiva di un paese che legge è uno strumento di benessere e sviluppo che i paesi che non leggono non hanno.”
Si è buoni scrittori se si è buoni lettori. Quali sono i criteri, secondo il suo parere, per scrivere una buona storia?
“Credo che chi vuole scrivere debba prima aver letto e vissuto. La scrittura non è, come purtroppo molti pensano, il trasferire sulla carta sentimenti e sensibilità personali. E' la capacità di produrre in un racconto una realtà autonoma, realistica o fantastica che sia, che abbia una sua coerenza interna e rappresenti la trasfigurazione letteraria del nostro pensiero. La semplice trasposizione dell'esperienza in un racconto difficilmente sarà letteratura. Perché lo diventi è necessario che si sia sviluppato uno strumento di elaborazione analitica e critica che vada al di là del rispecchiamento del reale. Bisogna poi pensare che sono millenni che l'uomo racconta e scrive, e che è difficilissimo non ripercorrere sentieri già affollati. Ecco perché per scrivere è necessario conoscere bene i classici, capirne la chiave narrativa, lo strumento linguistico e l'elaborazione dei personaggi. Troppo spesso si pubblicano testimonianze sincere ma ingenue di persone che sentono il desiderio di condividere il loro vissuto ma non sono in grado di elaborarlo letterariamente. Tempo, fatica a carta sprecata.”
Qual è il suo rapporto con gli incipit? E qual è il suo incipit preferito?
“Gli incipit possono essere belli e terribili. A suo tempo Fruttero e Lucentini pubblicarono un libro con un centinaio degli incipit più significativi della letteratura mondiale. Rimando a quel testo. Io penso che alle volte - come in 100 anni di solitudine, o in Anna Karenina - un incipit dica più di un intero romanzo.”
Se dovesse scrivere un libro, dopo averne letti tanti, quale storia racconterebbe? Scriverebbe un romanzo o un racconto? E che tipo di scrittore si definirebbe: di montagna o di terre basse, per usare un’espressione di Giuseppe Lupo nel suo “Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma”?
“Se dovessi scrivere un romanzo vorrebbe dire che me ne è venuta l'ispirazione, e che sarei diventato un aspirante scrittore. Per ora non sono nemmeno quello, e quindi non posso classificarmi, perché non ho mai scritto nemmeno un raccontino.”
Se dovesse partire per un’isola deserta, quale libro porterebbe con sé?
“Mi scusi, ma per quale pazzesca casualità dovrei partire per un'isola deserta con un libro solo? Meglio niente, allora: Robinson se la cavava benissimo senza libri, e sono convinto che in un'isola deserta c'è un sacco di lavoro da fare, per sopravvivere.”
Eva Bonitatibus
All’Epifania regaliamo un bel libro da leggere o della buona musica da ascoltare. Si può spaziare dalle novità editoriali ai grandi classici senza tempo, l’importante è perdersi tra le righe delle pagine e le onde dei pentagrammi. Regalare un libro o un disco fa bene a chi lo riceve e anche a chi lo dona perché è più di un semplice presente, è un invito ad intraprendere un viaggio che porta oltre il tempo e lo spazio. E’ una esortazione a salire sulle nuvole e a lasciarsi trasportare dall’ebrezza del vento che lieve promette mete da sogno. Non abbiate timore a far trovare questa strenna nella calza della Befana, un bel pacchetto infiocchettato contenente le “terre promesse”. Auguri cari lettori di Gocce d’autore, che questo nuovo anno riporti nelle case di tutti tanti libri e tanta musica, che vuol dire tanto riconoscimento a chi lavora nel campo dell’editoria letteraria e musicale. BUON ANNO!
Numero Zero
Di Umberto Eco
Bompiani
Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all'informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore. Un redattore paranoico che, aggirandosi per una Milano allucinata (o allucinato per una Milano normale), ricostruisce la storia di cinquant'anni sullo sfondo di un piano sulfureo costruito intorno al cadavere putrefatto di uno pseudo Mussolini. E nell'ombra Gladio, la P2, l'assassinio di papa Luciani, il colpo di stato di Junio Valerio Borghese, la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent' anni di stragi e di depistaggi, un insieme di fatti inspiegabili che paiono inventati sino a che una trasmissione della BBC non prova che sono veri, o almeno che sono ormai confessati dai loro autori. E poi un cadavere che entra in scena all'improvviso nella più stretta e malfamata via di Milano. Un'esile storia d'amore tra due protagonisti perdenti per natura, un ghost writer fallito e una ragazza inquietante che per aiutare la famiglia ha abbandonato l'università e si è specializzata nel gossip su affettuose amicizie, ma ancora piange sul secondo movimento della Settima di Beethoven. Un perfetto manuale per il cattivo giornalismo che il lettore via via non sa se inventato o semplicemente ripreso dal vivo. Una storia che si svolge nel 1992 in cui si prefigurano tanti misteri e follie del ventennio successivo, proprio mentre i due protagonisti pensano che l'incubo sia finito. Una vicenda amara e grottesca che si svolge in Europa dalla fine della guerra ai giorni nostri.
Di Stefano Petrocchi
Mondadori
Stanze cariche di presenze e memorie, dove si è dispensata - e tuttora si dispensa - la gloria letteraria: "sala d'aspetto d'Immortali", scrive ironicamente Cesare Pavese, e al contempo "polveriera" in cui deflagrano le ambizioni dei maggiori scrittori contemporanei, suggerisce con realismo Maria Bellona, padrona di casa nonché animatrice del gruppo degli Amici della domenica da cui nasce il premio Strega. In quelle stanze traboccanti di libri, oltre che sulle terrazze fiorite che ospitano le riunioni della giuria, vediamo muoversi i protagonisti della cultura italiana degli ultimi settant'anni: concorrenti, editori e intellettuali facili alla polemica e alla battuta sferzante, rissosi e appassionati. La storia del premio viene narrata attraverso una galleria di dettagli insospettati, con particolare riferimento agli anni più recenti, caratterizzati dalla definitiva trasformazione dello scrittore in una figura mediatica. Alla guida del premio c'è a lungo Anna Maria Rimoaldi, amica ed erede della Bellona. Personaggio vissuto tutto dentro il Novecento che però riesce nell'impresa di traghettare nella nuova epoca le strutture un po' demodé dello Strega. Arbitro (quasi) assoluto dei destini del premio, per l'io narrante lei è semplicemente "il Capo", l'attitudine al comando fatta persona: tratto del carattere che convive con la altrettanto energica capacità di mantenersi un passo indietro rispetto ai riflettori, e con una vita intima che rimane inaccessibile...
A cura di Shaun Usber
Feltrinelli
"L'arte delle lettere" è una raccolta di oltre cento tra le più divertenti, stimolanti e sorprendenti lettere mai scritte. La corrispondenza epistolare torna protagonista in questo volume come una delle forme espressive più coinvolgenti, intense e veritiere che abbiamo a disposizione. Le lettere rivelano le motivazioni e approfondiscono la conoscenza. Sono probatorie. Cambiano le vite e cambiano la Storia. Sono motore delle interazioni umane e fucina di idee. Sono il silenzioso passaggio segreto delle cose di valore e di quelle accidentali: l'ora a cui saremmo arrivati per cena, il racconto della nostra meravigliosa giornata, le gioie più importanti e i più terribili dispiaceri d'amore. Dalla struggente lettera di suicidio di Virginia Woolf, alla ricetta per gli scones della regina Elisabetta II inviata al presidente Eisenhower; dalla prima volta in cui troviamo in uso l'espressione OMG in una lettera a Winston Churchill, all'appello alla calma di Gandhi a Hitler; dalla splendida lettera di consigli di Iggy Pop a una fan in difficoltà, alla pregevole lettera di richiesta d'impiego di Leonardo da Vinci, L'arte delle lettere è una celebrazione del potere della corrispondenza per iscritto che cattura tutto lo humour, la serietà, la tristezza e lo splendore delle nostre vite.
L’incredibile Urka
Di Luciana Littizzetto
Mondadori
"Piccole donne s'incazzano. Perché siam buone e care, ma anche al balengo c'è un limite. E a un certo punto i nervi escono dalla guaina. Per esempio, quando scopriamo che anche gli idoli cadono: Giorgione Clooney si è sposato, e non con me. Niente più Martini, niente più party. Banderas prima affettava le mutande di Catherine Zeta-Jones con la spada e adesso impasta taralli. E Kevin Costner balla coi tonni. Anche Hollande impazzisce per la jolanda, confermando la legge della fisica per cui tir plus un pluc de gnoc che due Renault. Gli uomini d'altra parte non sono mai maturi… Passano dall'essere acerbi all'essere marci. Come i cachi. Oppure quando, forse per confermarci in che periodo siamo e da che cosa siamo sempre più sommersi, scopriamo la moda del caffè ricavato dalla cacca di animale, praticamente il caffè defecato, il Nescaghè. Per non parlare di quelle scienziate indonesiane che con la cacca ci hanno fatto un profumo, un Popò Chanel." Luciana Littizzetto-Incredibile Urka è una supereroina che come tutte le persone normali a un certo punto sbrocca e diventa verde dalla rabbia. Sconfigge i cretini a colpi di ironia, e con i suoi superpoteri trasforma le loro pirlate in perle di umorismo, la nostra incazzatura in una grande, liberatoria, risata.
La felicità delle piccole cose
Di Caroline Vermalle
Feltrinelli
Parigi. La neve cade dolcemente sulla città, ammantando di bianco la Tour Eiffel, Notre-Dame e il Panthéon, come in una cartolina. Un uomo passeggia lungo la Senna diretto verso casa, un elegante palazzo sull’Île Saint-Louis. È Frédéric Solis, avvocato di successo con la passione per i quadri impressionisti. Affascinante, ricco e talentuoso, Frédéric sembra avere tutto quello che si può desiderare dalla vita. Gli manca una famiglia, ma dopo essere stato abbandonato dal padre molti anni prima, ha preferito circondarsi di oggetti lussuosi e belle donne piuttosto che mettere ancora in gioco il suo cuore ferito. Fino a quando, un giorno, scopre di aver ricevuto una strana eredità, che consiste in una manciata di misteriosi biglietti e in un disegno che ha tutta l’aria di essere una mappa. Cosa nasconderanno quegli indizi? Convinto di essere sulle tracce di un quadro dimenticato di Monet, Frédéric decide di tentare di decifrare la mappa. Grazie all’aiuto della giovane e stralunata assistente Pétronille, inizia così un viaggio lungo i paesaggi innevati del Nord della Francia, tra i luoghi prediletti dai suoi amati impressionisti: Éragny, Vétheuil, il giardino di Monet, con una tappa d’obbligo al Musée d’Orsay. Di incontro in incontro, di sorpresa in sorpresa, torneranno a galla ricordi che Frédéric credeva di aver dimenticato, e un tesoro ben più prezioso di qualsiasi ricchezza.
A very special Mario Christmas
Di Mario Biondi
Cofanetto cd – dvd
“A VERY SPECIAL Mario Christmas” è un cofanetto CD+DVD che raccoglie la magia di “Mario Christmas”, 3 nuovi straordinari brani e le immagini dell’emozionante concerto di Natale del Sun Tour, registrato a Napoli nel 2013. Nell’album, realizzato tra l’Italia e New York, Mario Biondi reinterpreta classici natalizi come Last Christmas, Let it snow, Have yourself a Merry Little Christmas regalando immediatamente un’atmosfera calda e sofisticata con la sua voce inconfondibile.
A cura della redazione
Familydom
Visible White Photo Prize 2015, 4a edizione.
Scadenza: 28 febbraio 2015
E’ un premio internazionale aperto a fotografi ed artisti italiani e stranieri senza limiti di età o di esperienza. I progetti, serie o essays fotografici devono essere elaborati sulla base del tema proposto dai curatori Francesca Fabiani e Paul di Felice.
“Dai tempi della mostra The Family of Man curata da Edward Steichen nel 1955, il concetto di “famiglia” è cambiato radicalmente. Le immagini che scelse, fondamentalmente portatrici dei valori di una comunità rurale difficile ed umana sono molto distanti dalle visioni etiche ed estetiche globalizzate di oggi. Negli anni '80 e '90 l'idea umanistica della famiglia era già stata sostituita da concezioni multiformi e frammentate di rappresentazione del mondo in molte mostre postmoderne.
L’avvento del digitale, l’immissione sul mercato di dispositivi di facile utilizzo come smartphone e tablet, uniti al proliferare dei social network, hanno letteralmente trasformato le modalità di comunicazione, di esperienza della realtà e di auto-rappresentazione degli individui.
L’ambiente domestico e “familiare” non si sottrae a queste trasformazioni ma anzi, anche in virtù del suo mutato significato sociale, assimila questo nuovo modo di comunicare generando nuove iconografie.
Nel contesto della società post-umana, della manipolazione genetica e della cyber-cultura molti fotografi oggi indagano lo status del corpo, dell'individuo e del gruppo reinterpretando i diversi generi ed i temi umani in un atto fotografico sperimentale.
Alla luce di queste rivoluzioni, il tema proposto intende indagare l’impatto “sociale” della fotografia e il ruolo cruciale che essa assume nella “certificazione” dell’identità e nella comprensione (o compromissione?) del reale.”
Totale Premi* 4.000 €
- 2.500 € per il Best Project
- 1.500 € per il Runner-up Project
In più, sarà assegnato ad uno dei partecipanti a Familydom un workshop o corso gratuito presso la Fondazione Studio Marangoni, Firenze.
Per tutte le info:
A cura della redazione
Caro Gesù Bambino,
si avvicina anche quest’anno la data del tuo compleanno e sento il bisogno di rivolgermi a te non per formularti una richiesta, bensì per pronunciare una preghiera. Parole semplici che abbiano il potere di attirare la tua immensa attenzione verso i palpiti che muovono il mondo. Fluttuazioni che non sempre riescono a determinarne gli effetti, oscillazioni del cosmo che spostano ora di qua ora di la le fragilità dell’umanità. Pensieri e azioni, gli uni a rincorrere le altre, in un ritmo sempre più veloce che si conclude in un vortice che tutto comprende e tutto risucchia. Una frenesia che attanaglia noi uomini incapaci di osservare il creato con gli occhi dello stupore infinito e riconoscente. Gli occhi. Quelli delle nostre mamme. Quelli che per primi hanno visto la luce dell’universo. Ti prego Gesù Bambino, non farmeli più vedere velati di mestizia e di rassegnazione. Uno sguardo che di tanto in tanto si appanna e si disorienta e impaurito cerca le pagine di un nuovo capitolo per riprendere a comprendere il significato di ciò che è scritto. Si, perché solo tu sai come andrà a finire la nostra storia, noi non possiamo fare altro che affidarci a te e alla tua purezza.
Caro Gesù Bambino, ridona luce ai nostri papà che un tempo erano forti come leoni e oggi sembrano cuccioli che hanno smarrito la loro mamma. Restituiscigli la forza di un tempo, quella che serve loro per entrare in un nuovo luogo della vita. Le loro spalle si sono incurvate, come se la porta per entrare in questa nuova casa sia troppo stretta e loro facciano fatica a passarvi. Aiutali per favore ad dischiudere il loro plesso solare così che l’orizzonte si apra ampio e luminoso e loro non debbano più provare fatica nel varcare la soglia della nuova era.
Caro Gesù Bambino, ti prego di continuare a volgere il tuo sguardo docile e amabile verso tutti i bambini del mondo. Proteggili dalla barbarie di questo tempo incivile e bruto, avvolgili nel tuo abbraccio salvifico e fa che il loro cammino sia lucente come la scia della stella che conduce a te. Proteggi i loro sogni e fa che nessuno più tradisca la loro immensa bontà. I loro sorrisi sono come raggi di sole, colpiscono in profondità fino a farti bruciare gli occhi. Fa che nessuno oscuri mai più questa luce.
Caro Gesù Bambino, fai sentire le tue braccia morbide intorno al collo delle persone che temono di aver perso la fiducia verso il proprio sentire. Spalancagli le orecchie del cuore e rassicurale sui passi da compiere. Porgigli la tua guancia paffuta e lasciagli affondare tutto il loro essere dimentichi delle cose brutte del mondo. Dai loro la tua piccola manina, si sentiranno sicuri nella tua stretta, e conducili lungo il sentiero che solo tu conosci.
Caro Gesù Bambino io ti prometto di continuare ad usare i miei occhi per camminare nella bellezza che avvolge il creato per coglierne i rapimenti e rinnovarne le emozioni. “Non vivere invano la tua vita”, ce lo ha comandato Dio, e quando al tramonto del sole io mi fermo a piangere di fronte allo struggente spettacolo del cielo che muta colore, il buio annuncia l’inizio di una nuova raffigurazione: il sorgere delle stelle. Io mi incanto a fissarle. Sono come le tue parole, Signore, esse non tramontano mai.
Eva Bonitatibus