Apr 19, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023
Rocco Infantino

Rocco Infantino

Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.

Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.

Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.

Premesso chi legge

  • Lug 04, 2015
  • Pubblicato in Leggere

Questo non è un articolo. Proviamo ad incrociare alcuni pensierini, come talvolta si fa con le parole in certi passatempo. Vorrei che ci occupassimo, in un prossimo appuntamento, del costo dell’ignoranza - si, l’ignoranza ha un costo -, argomento che sulle prime potrebbe non avvincere, né risultare abbastanza flâneur per come appare questa rubrica. Faremmo due passi nell’emergenza culturale di un Paese, dove larga parte della popolazione è affetta da analfabetismo funzionale, si registra un basso livello di competenze della popolazione adulta ed un numero altrettanto basso di laureati e diplomati, dove le strutture che dovrebbero fornire accesso alla conoscenza, quelle pubbliche in primis, costituiscono un reticolo debole dal disegno irregolare, e dove la classe dirigente, e in essa i decisori politici, non spicca per migliore qualità, né per sensibilità verso questi temi. A questa escursione occorrerà probabilmente arrivare un poco preparati sul paesaggio, o sul contesto, avendo acquisito qualche elemento significativo sui fondamentali, così da tentare, in poche letture, di risultare non dico più informati, ma almeno più consapevoli. In entrambi i momenti verremo accompagnati da un medesimo autore. leg solimine1 Giovanni Solimine, docente universitario, già Presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, e attualmente membro del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici,  pubblicava nel 2010, per i tipi di Laterza, L’Italia che legge, un lavoro di analisi su dati ricavati dalle indagini di settore, con il quale avviava un profilo del lettore italiano: connotati, gusti, stile di vita, zona di residenza, livello di istruzione, reddito, grado di partecipazione alla vita culturale, eccetera. I dati sono di qualche anno fa, ma l’analisi è fatta tenendo conto degli scostamenti e delle ciclicità verificabili per questi fenomeni nel breve periodo e delle costanti nel medio e lungo periodo; dunque, attuale nelle sue linee fondamentali ed utile per poterne ricavare un ragionamento. Del volumetto immagino si possano dare diverse letture. La prima, di superficie, magari concentrata sul tema della lettura dei libri come fenomeno sociale confinante col fenomeno di costume. Come tale, incuriosiranno le conclusioni su certi luoghi comuni o su domande molto frequenti: è proprio vero che chi è abituato a leggere da piccolo, nel corso della vita legge più di altri? le nuove tecnologie fanno concorrenza alla lettura? segneranno la fine del libro? Quando però viene fuori che venti milioni di italiani considerano leggere una perdita di tempo, che i lettori forti sono soprattutto donne, che questi ultimi hanno un livello di reddito ed uno status sociale in genere elevati, il discorso si fa più interessante. Poi si verifica che i lettori forti vivono in prevalenza al nord e al centro del Paese e nei grandi centri urbani, e che, siccome per diventare lettori trovare dei libri certo aiuta, c’è una certa relazione tra l’attitudine alla lettura e l’utilizzo – e io farei attenzione anche alla concreta praticabilità – delle biblioteche; quindi, la loro distribuzione territoriale non è ininfluente, anzi. leg solimine2 E chi li produce, il libri? Si osserva anche in questo caso che l’industria del libro è concentrata nell’Italia settentrionale, dove viene pubblicato più dell’80% dei libri in commercio e dove sono concentrati i pochi, maggiori editori italiani. In definitiva si scopre una vera e propria disuguaglianza – una ennesima – tra cittadini del nord e dei grandi centri urbani e cittadini del sud del Paese, quanto alla concreta possibilità di entrare in contatto con i libri. Infine, si prende atto che nello scenario di crisi nel quale il Paese è stato fatto entrare in questi anni, queste differenze - geografiche, sociali - hanno mostrato una attitudine spiccata ad acuirsi, a radicalizzarsi. E allora: se l’ignoranza, come scopriremo, ha un costo, vogliamo domandarci chi è destinato a sopportarne il maggior peso? E se c’è qualcuno che un utile ne trae?

Rocco Infantino

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C’era un tempo in cui non potevi andartene in giro senza una copia, meglio se gualcita e rigorosamente di edizione economica, di Narciso e Boccadoro, o de Il lupo della steppa, o de Il gioco delle perle di vetro, stipata in una tasca dell’eskimo o dello zaino. Con ciò lasciando intendere d’aver interiorizzato anche Siddharta e d’essere già oltre. Da giovane avvertivo il fascino che Hermann Hesse esercitava su molti miei coetanei – a me non dispiaceva – per quella che veniva letta, tra le sue pagine, come una aperta critica alla cultura occidentale e alla educazione impartita alle giovani generazioni come indottrinamento finalizzato alla repressione degli slanci più istintivi e naturali dell’individuo, per il loro migliore adattamento ad una società borghese preoccupata soltanto di conservare sé stessa. Così, detta d’un fiato. Pure, molta curiosità destava, in effetti, la particolarità d’uno scrittore europeo di lingua tedesca, che si proponesse come un tramite verso culture orientali: quella indiana dapprima e, più convintamente, quella cinese poi. lg hesse1Di Hesse, tra i volumi acquistati ben dopo i vent’anni e con le prime paghe, conservo una copia de Una biblioteca della letteratura universale, per i tipi di Adelphi. Il primo degli scritti di questo volumetto, che presta il titolo alla raccolta, può certo esser letto come una guida per la formazione di una propria selezione ragionata di opere della letteratura mondiale, o pressappoco; in ciò ricorda, solo quanto a romanzi, racconti e poesia, i canoni che proponeva il medesimo Gabriel Naudé (dal quale partimmo tempo fa su queste stesse colonne) per una biblioteca estesa a tutte le scienze, in ogni campo della speculazione, dell’arte e della conoscenza. Per quanto interessante, quest’insieme di regole, per avvertimento dello stesso autore, porterà tuttavia ad un catalogo dall’aria “molto ideale e graziosa, ma troppo impersonale”. In ciò, al contrario, il consiglio che si può trarre è invece quello di costruirsi una raccolta di libri che sia certo equilibrata, ma che segua le nostre personali sensibilità ed inclinazioni, giacché il fine di questo gioco non è una sterile erudizione, bensì quello di “entrare, attraverso le porte per noi più accessibili, nel santuario dello spirito”. E quindi, “cominci ciascuno da quello che è in grado di capire e di amare”. Così, si finirà per scoprire che non esistono i cento più bei libri in assoluto, ma per ciascuno di noi si dà una possibile “scelta particolare basata su ciò che [sia] affine e comprensibile, caro e prezioso”lg hesse2 Il volumetto ospita riflessioni di Hesse anche sulla lettura. Quel che certo sorprende, ma non dovrebbe, è che l’autore affermi che si rischia spesso di leggere troppo. Troppo e male; che sia sbagliato leggere “per distrarsi”, come spesso accade, mentre invece si dovrebbe leggere per concentrarsi, e che nella cronaca della continua concorrenza sleale, così s’esprime, tra la lettura e le vita, leggere dovrebbe semmai aiutare a vivere, e non evitare di vivere. Esistono, invero, tipi diversi di lettori e, in più, ciascuno, nel corso della propria esperienza, è volta a volta un lettore diverso. Quello che viene esaltato, da Hesse, è un lettore “così personale”, “così se stesso”, da contrapporsi “in assoluta libertà a ciò che viene leggendo”. Egli è un lettore bambino, capace di giocare con le proprie letture non meno che con qualsiasi altra cosa, istintivamente cosciente che ogni verità è suscettibile di essere capovolta, che sa pensare per associazioni ed è al contempo consapevole degli altri processi del pensiero. E quando la fantasia e la facoltà associativa sono giunte al culmine, ecco che non si legge neanche più. Già l’ispirazione può nascere da qualunque scritto, anche un orario ferroviario, poi da qualunque immagine grafica, poi, infine, da qualunque parola, o immagine tout court: “il disegno di un tappeto o la posizione delle pietre in un muro avrebbero, per lui, lo stesso valore della più bella pagina”. E’, questo, il lettore che non legge più. Non ci si ferma, certo, a questo stadio; a leggere, generalmente, si ricomincia, ma con una nuova consapevolezza: direi guardando dentro ciò che si legge, vedendo ciò che si legge. Diradate le cortine del leggere “tutte le scienze e tutte le arti come uno scolaro legge la grammatica”, sottraendo, sottraendo come fossimo a cimentarci in una specie di decrescita alfabetica felice, a sperimentare una forma di rifiuto dell’accumulo delle righe per l’accumulo, della capitalizzazione infruttuosa dei testi, del testo, “da questo mostro mitologico” formato dagli infiniti libri di tante lingue e di millenni, arriveremmo alla pura esperienza dello spirito: riusciremmo a scorgere “il sembiante dell’uomo, da mille tratti contraddittorii magicamente ricomposto in unità”. Ecco, il libro può essere riposto, dismesso l’eskimo, lo zaino posato: il percorso ci conduce a riconoscere chi siamo.

Rocco Infantino

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I Mille, quelli buoni

  • Giu 06, 2015
  • Pubblicato in Leggere

Meridionali si nasce. Da ragazzo immaginavo che i libri si stampassero tutti a Milano. Che gli editori fossero necessariamente milanesi. Sui vent’anni, uno ne incontrai. Non lì, ma al Nord, comunque. Ricordo l’appuntamento fissato alla controra, in un appartamento d’un edificio di quelli venuti su tra il baby boom e l’austerity, indifferentemente, nelle periferie italiane, lo studio che poteva andar bene per trattare affari su qualsiasi categoria merceologica tra quelle nel paniere Istat e d’intorno, così come il mio interlocutore. Firma del contratto, poche frasi che oggi rileggo come collaudate, quasi stanche anche nel misurato entusiasmo, sul futuro che impaziente pare mi attendesse, chissà se ancora e sempre col contributo dell’autore. Se dovessi obliterare il fatto che io non continuai a tentare di scrivere, potrei essere tentato di dolermi di non aver incontrato un editore d’altro tipo.Esce in queste settimane il volume numero mille della collana La Memoria di Sellerio editore di Palermo. Il numero 1000, La memoria di Elvira, è dedicato proprio a Elvira Giorgianni Sellerio, scomparsa pochi anni fa e per lungo tempo guida della Casa editrice, ed è una raccolta di testimonianze importanti, da Luciano Canfora a Alicia Giménez-Bartlett, da Giuseppe Scaraffia a Antonino Buttitta, a Andrea Camilleri, a Adriano Sofri e diversi altri, autori e collaboratori della casa editrice, sulla sua straordinaria esperienza.sellerio1Tentando di resistere al fascino personale, che s’immagina restituito soltanto per accenni, della Signora Elvira, in queste pagine si possono riconoscere l’idea, il progetto ed i caratteri fondanti di una Casa editrice molto particolare. Sorta nel 1969, in un panorama editoriale dove la Einaudi si era proposta come modello, assumendo su di sé dal dopoguerra il compito di introdurre nella cultura italiana i tanti autori europei ed extraeuropei fino ad allora esclusi, veicolando però i tratti della cultura marxista, la Sellerio nasce “sotto il segno crociano”, “ma reso più aperto dall’illuministica intelligenza di Sciascia”, altro fondatore, con Enzo Sellerio ed Elvira, sua moglie, della Casa, e in essa presenza e riferimento costante. Sellerio - il non disambiguare, tra la Casa e la Signora Elvira, viene naturale - è innanzitutto un rapporto pieno con i propri autori. La Signora legge tutti i dattiloscritti che arrivano, con attenzione e profondità, formula su di essi valutazioni discrete e disadorne nei toni, nella sostanza lucide e fondate. Ma oltre che lo scritto, nella dialettica tra autore e opera letteraria sulla quale medesima la letteratura stessa è copiosa, la Signora è interessata a conoscere l’uomo; su ciò, gli scritti del volume possono esser letti come autentiche testimonianze d’amicizia. La vicinanza con l’autore non porta però mai a confondere i piani e le responsabilità: i testi, se apprezzati, non vengono sottoposti ad alchimie, rimaneggiamenti, aggiustamenti, che vadano oltre qualche buon consiglio, e che siano invece risultato di invasive revisioni editoriali orientate maggiormente a rendere più vendibile il prodotto, che migliore l’opera. L’editore, dal canto proprio, nell’impaginare, stampare, rilegare, e prim’ancora nello scegliere le copertine e nel pretendere d’usare sempre perfino la carta d’una certa qualità, senza mai deflettere, anche nelle ristampe, anche dopo le diecimila copie, e nel distribuire, tratta ogni opera con la cura dell’artigiano e con la sacralità che il libro richiede. Tutte le opere edite sono tenute a catalogo a tempo indefinito: non conoscono il breve oblio del magazzino dell’invenduto, che in tante altre case editrici costituisce il braccio della morte che porta immancabilmente, quanto inspiegabilmente, al macero. In questa raccolta si può anche seguire il racconto di un sogno e di una impresa meridionali, siciliani. Impresa al contempo ardua e consapevole, orgogliosa fino a stampare “Palermo” sulla copertina dei volumi accanto a “Sellerio editore”. Impresa che negli anni ha attraversato anche tutte le difficoltà del contesto e specifiche del mondo dell’editoria, ha resistito all’assalto di molti ed ha rischiato d’essere sopraffatta, e che è stata invece soccorsa, non dall’esterno, dagli eccezionali risultati di vendita di alcuni dei propri autori, dal proprio interno. Da sé stessa, in definitiva. Le duecentosessanta pagine del volume, belle da leggersi non soltanto per le belle penne che le hanno scritte, lasciano molto più che quanto s’è accennato: la nostalgia per le figure di Elvira Giorgianni e dello stesso Leonardo Sciascia, presente costantemente in controluce anche oltre il consumarsi della sua assenza; l’amore ed il rispetto per il leggere e per lo scrivere.

Rocco Infantino

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Lepidotteri e punteggiatura

  • Mag 23, 2015
  • Pubblicato in Leggere

Niente a che vedere con prodotti di certo circo letterario, Intransigenze (Adelphi, Milano, 1994) è la raccolta di un discreto numero di interviste che Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita e de Il dono, per intendersi, rilasciò nel corso  di molti anni della sua vita e della sua attività di scrittore. Chi s’aspettasse di trovarci qualche gustoso aneddoto, di scorgere tratti intimi dell’uomo dietro la figura pubblica, di far tesoro di trucchi o segreti del mestiere, o financo di arricchire la propria collezione di santini con una ennesima oleografia dell’artista o - perfidamente aggiungo - di scovarvi frasi tanto sibilline quanto banali con le quali farcire la barra di stato di Facebook e fare così incetta di like, sbaglierebbe. Nabokov, non sembri una contraddizione, non amava le interviste, “se per intervista s’intende una chiacchierata fra due normali esseri umani”, non considerava possibile un dialogo sulla scrittura e sulla letteratura, improntato ad una poco rigorosa spontanea immediatezza; tant’è che chi proprio intendesse, veniva invitato a produrre un elenco di domande scritte alle quali egli forniva altrettanto puntuali risposte scritte. Il volume non è quindi in definitiva una stampa anastatica di ritagli di giornale, bensì una ordinata occasione di dar voce alle sue opinioni personali, così si esprime, su temi pertinenti, che non trovavano a suo dire molto spazio nei suoi scritti narrativi. legg nabokov1In questo senso, in questa chiave, è probabilmente sensato proporre questo libro in questo contesto, come un discorso austero sulla produzione letteraria e sullo scrivere, dal metodo alle traduzioni, dalla cura del testo alla conoscenza approfondita delle lingue, alla critica della critica letteraria, oltre che sulla politica, sui costumi, la morale e la dittatura, la Russia e l’America ed altro, fatto da un grande scrittore del secolo scorso. E dire che, sollecitato, proprio Nabokov confessava di non aver mai pensato alla letteratura come una carriera, allo scrivere come una possibile fonte di reddito, avendone spesso immaginata per sé invece “una lunga e appassionante […] nei panni di un oscuro conservatore di lepidotteri in un grande museo”. Intransigenze lo lessi una prima volta nell’agosto del 2006, e l’ho riletto in questi giorni per l’occasione. Non ricordavo, tra le tante cose, certi giudizi su altri scrittori, sui Joyce e sui Kafka, i Tolstoj, Balthus, Balzac, Mann, e altri, che li dividono inesorabilmente, per così dire, tra sommersi e salvati. Non ricordavo nemmeno che da pagina 275, dandole dignità di paragrafo, producesse una così definitiva e sarcastica valutazione del tanto venerato Sartre de La Nausée, a me cara per molte ragioni. Però ricordavo il rigore e la serietà, ben lontani dalle mode o dai miti dello scrivere come viene, con i quali individua, richiesto, le virtù letterarie alle quali cercare di arrivare: “La capacità di chiamare a raccolta le parole migliori, con ogni aiuto disponibile, lessicale, associativo e ritmico, per esprimere con la massima precisione possibile ciò che si vuole esprimere”. Una buona lettura.

Rocco Infantino

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L’antico divieto di generare orfani o vedove, pena inevitabili nuove colate di piombo fuso, aleggia da secoli tra le ombre delle grandi macchine a stampa. L’anatema germina dallo sviluppo lineare del libro. I libri hanno una struttura lineare - questa è una delle apparenti banalità più profonde dell’esperienza comune -, seguono quindi una estensione che ha un prima e un poi, hanno un numero contato di pagine. Alla bisogna, leggendo, si può fare un salto indietro e riprendere il percorso da un certo determinato punto a seguire. Essi sono anche un oggetto finito, con il quale si può soltanto leggere, non se ne danno altre funzioni intrinseche. Così è. leggere casati1 Oggi prende corpo una nuova forma di vita, di tipo arborescente, che trova il suo proprio habitat negli strumenti digitali: dai pc ai tablet, ai kindle, al famigerato i-pad. Con questi strumenti si può anche leggere. Anche, si badi, ma non esclusivamente: leggere è soltanto una delle tante attività che vi si offrono. E mentre quello che ci si legge perde, anche visivamente, la sua struttura sequenziale - lineare, dell’ambiente di lettura tradizionalmente disegnato tra lo sguardo e le pagine di un libro, i confini rovinano verso infiniti spazi collaterali, opzioni, distrazioni. Quel che ci viene sottratto - rubato? - è l’attenzione, e con essa l’esclusività e la profondità dell’esperienza, non soltanto del leggere. In un testo digitale, il “tornare indietro” non ha il medesimo effetto che con le pagine di un libro. Ma soprattutto, le nuove tecnologie sono orientate ad offrirci continue occasioni di distrazione: dall’essere connessi, all’interagire sui social, al ritenere d’essere o dover essere costantemente informati. Finanche gli ambienti esterni della lettura, quello domestico, quello scolastico, che dovrebbero essere a loro volta protetti, sono invece vulnerati da continue intrusioni. In questi ultimi, la sostituzione dei libri con le tecnologie digitali, mostrata come un progresso, potrebbe rivelarsi una violenza nella formazione degli individui, mutandoli da soggetti consapevoli in semplici terminali nel rapporto uomo - macchina o, peggio, uomo - prodotti. In mezzo, c’è anche una nuvolaglia di probabili sciocchezze, come quella della pretesa specificità dei cosiddetti “nativi digitali”, generazione di giovani evidentemente capaci di usare le nuove tecnologie con naturalezza; fatto dal quale qualcuno però tenterebbe di postulare l’esistenza di una specifica forma di intelligenza, in senso stretto. Con quale utilità?leggere casati2 Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale - istruzioni per continuare a leggere, Laterza, 2013. Ho consigliato questo saggio a mia figlia. La ragazzina legge molto, ha sempre letto molto. Non è quindi, il mio, un intempestivo invito alla lettura, bensì una indicazione per acquisire, attraverso determinate consapevolezze, gradi crescenti di libertà. A voler giocare - quanto improbabilmente? - ai complottisti, potremmo magari riflettere sul fatto che non solo se compriamo libri su Amazon, Amazon conosce tutto dei nostri gusti, ma se poi leggiamo i nostri libri su Kindle, qualcuno, in un dove indefinito, è in grado di stabilire, quantitativamente ed anche analiticamente: quali siano i libri i cui ultimi capitoli vengano letti prima dei primi, quali libri vengano acquistati e non letti, quali libri vengano letti di sera prima d’addormentarsi e quali durante le varie ore della giornata, quali quelli iniziati più volte… Debbo continuare? Cosa si riuscirebbe a ricavare da queste informazioni? Immaginiamo, giochiamo? in questo mondo, potremmo allora voler passare, da lettori, in clandestinità (darci alla macchia, ma d’inchiostro), comprando “in piccole librerie fuori mano, pagando in contanti”. E ci tornerebbe cara, da autori, a presidio del momento delicato della correzione delle bozze, la vecchia prescrizione dei tipografi: attenzione a non generare pagine che comincino con l’ultima riga del paragrafo precedente, o pagine che finiscano con la prima, o le prime, del paragrafo successivo (orfani e vedove, appunto); il che avrebbe richiesto di fondere di nuovo il piombo con il quale si componevano, per la stampa, pagine e pagine ad esse successive. In realtà, un rischio ancora più terrificante si dava per i famigerati “canali”. Ma di questo, saprete dirmi.

Rocco Infantino

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