Apr 24, 2024 Last Updated 9:23 AM, Dec 12, 2023

La centrale idroelettrica di Bratsk - per tacere di Melendugno

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«Amo quell’ora in cui […] il mondo si fa chiaro a poco a poco / pur se con ciò, non insavisca affatto. / Io più del mattino amo l’albore». La televisione di Stato entra in tutte le case come l’acqua potabile, la luce e il gas; pare un servizio essenziale e si paga assieme alla corrente elettrica.

Magari più essenziale ancora: se non paghi il gas te lo tagliano, se non paghi la televisione, credo sia prevista la riscossione coattiva, ma non te la tagliano mica. I giornalisti di Stato pagati dallo Stato, che siano della TV di Stato o dei grandi quotidiani nazionali giustamente, è sacrosanto, sovvenzionati dallo Stato - molti anche molto bene, è da riconoscerlo, potrebbero permettersi automobili straniere e caviale - si trovano quasi sempre concordi, pur se con tollerabili sfumature, nel riportare alla popolazione quello che succede nel mondo e perché e percome. Il mondo è piccolo, oggi più di ieri: stringendosi, ci stanno appena il presidente americano, la presidenta tedesca, quelli di quell’organo europeo che adesso non mi sovviene ma sono quelli che stampano le banconote e vogliono che si riducano le spese per la collettività (diciamolo: la collettività se potesse se ne approfitterebbe, chiedendo salute, istruzione, cultura, giustizia, tutela dell’ambiente, della biodiversità, del paesaggio … che palle!). Non c’è molto altro di rilevante al mondo. Tu puoi parlare. Certo. Gli organi dello Stato decidono quando è bene per lo Stato che si voti oppure no per i rappresentanti del popolo. Sulle grandi questioni lo Stato tollera i referendum, addirittura. Tu puoi andare lì e dire SI o dire NO. Certo. Lo Stato direttamente o indirettamente si incarica di istruirti e di informarti. Il giusto, quel che serve. Il resto, quello che certi vecchi reazionari chiamerebbero l’approfondimento, è per gli sfaccendati, non serve ed è fuorviante. Peggio ancora il confronto: al più, il dibattito, dove si urla senza bisogno mai di chiarire. Fa bene, dicono, anche contro la gotta. Per esempio oggi c’è questo problema degli ulivi di Puglia. Vanno a crescere, con premeditazione covata per secoli, dove è meno utile. La lezione della Xylella, per dire, non gli è bastata. Vanno tolti, ti informano. Si tolgono, ti informano. Occorre di fatti far posto alla TAP. Gli acronimi sono un bene per lo Stato. Si risparmia tempo nell’informare. Quel che c’è da sapere è che è un gasdotto molto molto importante che porta il gas dalle coste del Mar Caspio fino dalle parti di Melendugno. Ma quanto consumano di gas, a Melendugno? Spegnere un fornello, ogni tanto, proprio no?!? Se mai qualcuno volesse sapere se il Trans-Adriatic Pipeline sia opera pubblica o privata, quali siano le società interessate, chi ci guadagna, perché questo percorso e non altri, visto che magari dopo che a Melendugno qualcosa arriva anche in Europa, e allora perché non farlo sbucare, passando altrove, per dire, in Austria (esiste, l’Austria?), quale sia, se c’è, l’interesse della Turchia, e quello dell’Ucraina (esistono?), e altre amenità inutili da intellettualoidi, potrà fare le proprie ricerche in rete. Già, la rete. Si sa che in rete si trova di tutto. Lo Stato lo sa e, premuroso, allora (Atto Senato n. 2688 XVII Legislatura) già è pronto a trovare «Disposizioni per prevenire la manipolazione dell'informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l'alfabetizzazione mediatica». Vi invito a leggere l’intero atto, premesse comprese, inclusi i passaggi in cui si chiarisce perché e percome: «queste disposizioni non possano ritenersi incompatibili […] con il diritto riconosciuto ad ogni cittadino dall'articolo 21 della Costituzione di manifestare liberamente il proprio pensiero». Difatti: «Come stabilito dalla Corte di cassazione con sentenza […] del 1956 anche tale diritto […] trova […] inderogabile limite: nel dovere […] di ogni cittadino di non destare pubblico allarme […]; nell’esigenza dello Stato […] di difendersi dall'opera nociva dei suoi cittadini». Muore Evgenij Aleksandrovič Evtušenko, uno dei più conosciuti poeti e scrittori russi contemporanei. I giornali che ne danno la notizia, per lo più e al solito, trattano la pura formalità, sbrigandola con due righe di biobibliografia, concentrandosi sul fatto se egli sostenne per vero o per finta il socialismo reale, se sia stato per Chruščёv o per Brežnev più di quanto non tenesse per Stalin o lo avversasse e quanto fosse deluso da El'cin. Che piacesse o no, non si cita un suo verso. La poesia, si sa, questo è acquisito, è intrinsecamente agitatrice e sovversiva, ben oltre gli intenti di chi la scrive. Muore dunque Evtušenko. Noi intanto ringraziamo Gesù ogni giorno per non essere nati in Unione Sovietica.

Rocco Infantino

Rocco Infantino

Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.

Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.

Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.

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