Essa era anche a una distanza molto ravvicinata dalla Terra. Era più vicina, rotonda, luminosa. Ben visibile, insomma, al netto delle nuvole e dei lampioni. Uno non si stancherebbe mai di guardare la luna. Così io. E mi domando: la luna ci guarda, a noi? Noi giriamo, giriamo, lei mostra sempre la stessa faccia.Ce lo hanno spiegato già da piccoli, a scuola, che così funziona questo gioco di biglie dei pianeti e tutto il resto. Io però credo che sia fatto apposta. Questo fatto del mostrare sempre la stessa faccia, voglio dire. Non importa se la guardiamo a occhio nudo, così piccina, o se usiamo una lente potente, che ci possa chessò, dare l’illusione di distinguerne i tratti della superficie, i crateri, le asperità, le vallate. Gli scienziati ci dicono che essa ci mostra il cinquantanove per cento della sua superficie, nulla più. Se rimaniamo sulla Terra, più inventiamo binocoli, cannocchiali, telescopi, più e più potenti, e meglio, più grande, più dettagliata la vediamo. La faccia resta quella. Rimanendo coi piedi per terra non sapremo mai cosa c’è dietro. Lei intanto si gode i nostri paesaggi della Birmania, per dire, o della Nuova Zelanda, o della Bolivia o l’Islanda o la Cina. In breve lei saprà tutto di noi. Noi no. Se compro su internet una bella giacca di pelle, o un paio di occhiali da sole, dopo un poco gli spazi pubblicitari del mio quotidiano on line si riempiranno di occhiali e pellami, se ascolto un paio di pezzi di Eric Clapton, Youtube prenderà a propormi i Cream o Mark Knopfler. Così reagirà Amazon, che se compro Tolstoj, mi fa presente che potrà interessarmi anche Cechov. Se su un social metto un mi piace, a scelta, su un post razzista oppure su uno ambientalista, mi verranno proposti alternativamente decine di gruppi di “amici delle sequoie” o di seguaci di “scuoia il diverso”. Compreso il gioco ci si può far di tutto. La luna ci guarda durante tutta la nostra rotazione, durante tutte le nostre rivoluzioni mancate, e ci offre sempre soltanto una faccia. La luna diventa uno specchio. La luna ci dà terrore e sicurezza, protezione e morte, svago e significato, insensatezza, convinzione. Certi giorni mi sento osservato, con la spalla cadente dentro un giubbotto grande un tantino, lenti a specchio ma il sole è già andato, mentre infilo foglie autunnali tra le pagine dello Zio Vanja, nella testa mi frulla il refrain di Strange Brew - ma dove l’ho presa? - e mi fermo a pensare, però, troppi neri qui intorno.
Rocco Infantino