Tra i tanti nodi dell’informazione contemporanea ce n’è uno che mi arrovella particolarmente. Si tratta di un paradosso. Da sempre l’incubo peggiore del pensiero laico, liberale e libertario – al quale mi ascrivo senza fanatismi di sorta – è un “sistema” politico fondato sul divieto e l’annullamento della libera informazione.
Ancora oggi, dalla Russia alla Turchia, dalla Cina all’Iran, dall’India all’Arabia Saudita, è possibile affermare che mezzo mondo non conosce la libertà d’informazione, benché con gradazioni diverse. E con questo non voglio sottovalutare le profonde problematiche che pure riguardano l’informazione nei Paesi occidentali di orientamento liberal-democratico. Voglio però dire che il peggior incubo – la sottrazione della libertà informativa – non è soltanto una possibilità teorica, ma un dato di fatto reale in mezzo mondo, e quando dico mezzo mondo temo addirittura di essere particolarmente ottimistico.
Tuttavia da qualche tempo sto riflettendo sul rovescio di quest’incubo – su quello che, prima, ho definito un paradosso. Cosa succede se in una società le informazioni sono troppe? In che modo una società civile costruisce i propri valori di fronte a un eccessivo bombardamenti di notizie, opinioni, immagini, sollecitazioni, dibattiti, ecc.? Il rischio, com’è evidente, è la paralisi – l’identica paralisi privativa di chi non possiede informazioni, in quanto sottratte e negate dal potere dominante.
Ora, noi sappiamo una cosa: le dittature, i sistemi totalitari e le autarchie fondano il proprio potere sulla censura e sulla negazione della libertà d’informazione. Ma non sappiamo una cosa un po’ più subdola e sofisticata, ovvero: che uso politico si può fare dell’eccesso di informazione? È possibile che l’eccesso di informazione paralizzi una società – creando una sorta di rigetto, e dunque di disimpegno – alla stessa maniera di un sistema politico fondato sulla privazione della libertà di informazione?
La risposta che mi sono dato è che tutto è preferibile alla censura e alla negazione della libertà. Ma questo policentrismo, questa pluralità, questo bombardamento di notizie, informazioni, opinioni, idee, fake-news, pubblicità, ecc., ha bisogno di molta maturità e discernimento per non portare a un relativismo nichilista e a una sfiduciata e stordita confusione nell’opinione pubblica.
L’unica strada percorribile, benché la più difficile, è quella di affidarsi all’autorevolezza delle fonti, delle firme e dei media – e questo richiede osservazione, studio attento e generosità conoscitiva. Purtroppo il concetto di autorevolezza nell’epoca dell’azzeramento delle gerarchie e dell’”uno vale uno” è un concetto assai difficile, anche perché nessuna istituzione collettiva o individuale è mai così autorevole da non avere almeno un punto debole nella propria solidità architettonica.
Il grande problema dell’informazione nei Paesi liberal-democratici è proprio questo: come garantire a tutti di dire e scrivere liberamente ciò che si vuole e, al contempo, fondare un sistema dell’informazione sicuro, serio, affidabile e autorevole? Com’è evidente, la questione chiama in causa individualmente ciascuno di noi, in quanto sta a ciascuno di noi provare a essere il più rigorosi, affidabili e autorevoli possibili. Prima di scrivere qualsiasi cosa, fosse anche soltanto un post su Facebook, bisogna sempre essere consapevoli di esercitare un potere – rispetto alla libertà, alla verità e alla morale, se di morale si può ancora parlare in una società post-religiosa.
Andrea Di Consoli