Si allontana attimo dopo attimo il tempo del passaggio dai rifugi dell’inverno ai luoghi ariosi della primavera. E mentre il desiderio di liberazione, accresciuto a dismisura dopo un periodo di oppressione, si fa giorno dopo giorno più imponente, dobbiamo continuare a fare i conti con le nuove serrate. Porte che si chiudono, finestre che si schiudono. Barriere che rimangono. E non si vede l’orizzonte.
I keep wishing I were somewhere else, Walking down a strange new street. Continuo a desiderare di essere da qualche altra parte, Camminando lungo una strana nuova strada. Canta la canzone premio Oscar 1945 It Might As Well Be Spring – Potrebbe anche essere Primavera - del musical dal “sapore bucolico” State Fair. La malinconia espressa non solo dal testo, ma dalla melodia, che trova nella interpretazione di Ella Fitzgerald la sublimazione di tonalità pacate e di fine lirismo, offre una prospettiva che non lascia scampo. La protagonista del film si lamenta della solita vita, una quotidianità fatta delle solite vecchie incombenze e si trova a sognare di cambiare vita.
Cambiare vita. Ci siamo ripromessi che da queste pagine non ne avremo più parlato, né fatto cenno alla situazione che stiamo nuovamente vivendo. Increduli e basiti. Sconcertati e impotenti. Cercherò quindi di rimanere fedele ai nostri propositi e di proseguire sulla strada dell’evasione, l’unica che ci rimane per ricordare il profumo dei germogli odorosi della primavera. Cerco allora un antidoto contro l’angoscia dell’avvenire e penso a quali parole possano esprimere queste inedite primavere.
La prima è libertà. Dice Massimo Recalcati che siamo cresciuti con un’idea sbagliata di libertà, che l’abbiamo interpretata come “pura manifestazione capricciosa dell’ego”, invece è altro rispetto al mero esercizio di autodeterminazione. La libertà è solidarietà, dice ancora lo psicoanalista. E mi sento di condividere la sua visione. Aggiungo quindi al mio dizionario primaverile la parola solidarietà. La stiamo sperimentando sul campo, essere obbligati a condividere una dimensione collettiva implica un atteggiamento diverso, non di chiusura, bensì di apertura nei confronti dell’altro. Alla fine dei conti stiamo soffrendo tutti in egual misura, a tutti manca la prima parola, non resta che tenderci verso l’altro in una comune reciprocità e provare a sperimentare la seconda. Desiderio è la terza parola di questo fiore che sto componendo. Jacques Lacan dice che il desiderio è apertura “sul non ancora visto, sul non ancora conosciuto, è una visione dell'avvenire, uno slancio, l'incontro con qualcosa di inedito”, è il moto perfetto per decidere della propria vita, se andare a cercare il nuovo o se tornare al vecchio. Non attendiamo di poter intraprendere la via del desiderio, non facciamoci prendere dalla pigrizia del divano o dal capriccio dell’immediato, proseguiamo scaltri verso la via della curiosità che ci conduce verso quella del sapere. Felicità, quarta parola petalosa. Se ci lasciamo guidare dal desiderio di sapere, se decidiamo di ascoltare la vocina che ci invita a seguirla, abbiamo più probabilità di trasformare la nostra esistenza e di condurla sulla via della felicità. Se invece rimaniamo sordi alla chiamata, saremo destinati ad una vita grama e infelice. Il quinto petalo del mio fiore è la parola vita. Continuiamo a vivere, non a farci vivere, viviamo con la gioia del dono ricevuto. Non è vita quella che teme la morte, la paura di perderla si traduce in vita mortificata. E allora, dice ancora Recalcati, “il segreto per non perdere la vita, è vivere senza la paura di morire”.
Eva bonitatibus