La meraviglia dunque latinamente intesa, quella che ci invita a admirari, ossia a "guardare con meraviglia", a stupirci di fronte a qualcosa di affascinante e di ammirevole. Ma anche il meravigliarsi dei greci, secondo cui la meraviglia anziché essere un sentimento è uno stato d’animo che induce al desiderio di sapere. Le parole ci aiutano a vedere meglio la realtà, a comprenderla, a catalogarla, a viverla. Le nostre vicende, i nostri vissuti, diventano parole, costruiscono quel mondo di immagini e di sensazioni che andiamo a ripescare alla bisogna. Se ad esempio vogliamo descrivere questo Natale, quali parole potremmo usare? Insolito? Solitario? Triste? Abbiamo trasformato l’esperienza di questo evento in parole. Quando tutto sarà passato, porteremo dentro di noi le parole che lo stesso ci ha suscitato, parole che ci restituiranno l’esperienza di questo Natale. Nella nostra memoria, come scrive Lamberto Maffei in Elogio della parola, Il Mulino, l’evento è parole.
Ma noi non possiamo lasciarci sopraffare dalla mestizia di questi giorni. Dobbiamo conservare quelle parole, “quelle” che fino allo scorso anno ci parlavano di famiglia, di calore, di gioia, di condivisione, “quelle” parole che descrivevano “Il” Natale. Ci ricordiamo con quali parole lo raccontavamo? Ne verrebbero fuori tantissime, tra queste anche la meraviglia dello stare insieme, quello stato di grazia che davamo così per scontato e che oggi ci appare come una ferita aperta nel petto. «Le parole sono la mia memoria – scrive Maffei – la mia narrazione: io sono fatto di parole, magari silenziose; quel poco che so, sono parole, stringhe di eventi che ritornano nella loro sequenza non solo grammaticale e sintattica, ma nella logica razionale o irrazionale del ricordo, e mi rifanno il mondo e mi narrano.»
Siamo fatti di parole. Quelle che ci permettono di raccontare, di non dimenticare le esperienze vissute, di tramandare il nostro patrimonio ai più giovani. «Che sarebbe l’uomo senza parole?» conclude il presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei. Continuiamo ad usarle rispettandole, affidandoci ad esse per sublimare il momento, per aprire nuove finestre di dialogo con noi stessi innanzitutto. Quelle finestre dietro le quali abbiamo visto scorrere i giorni e dalle quali oggi ci affacciamo ammirando il luccichio delle luminarie e sognando. Stringhe di parole che stiamo infilando, articolo dopo articolo, esperienza dopo esperienza, nella “collana della storia”.
Buon Natale.
Eva Bonitatibus