Non solo una vexata quaestio, nemmeno una squisita categorizzazione ontologica.
Ma un principio, un’alternativa di senso.
Necessaria, come l’esigenza di affermarsi, oggi o anche domani, in un universo che si liquefa, sotto la spinta brutale del necessario. O del non bello.
Verità come Bellezza. Nulla come in-significante.
O per dirla con Gilles Deleuze, “il senso non è mai soltanto uno dei due termini di una dualità che contrappone le cose alle proposizioni, i sostantivi ai verbi, le designazioni alle espressioni, poiché è anche la frontiera, il filo di lama o l’articolazione della differenza tra gli uni e gli altri, poiché dispone di una impenetrabilità che gli è propria e nella quale si riflette; egli deve svilupparsi in se stesso, in una nuova serie di paradossi, questa volta interni”.
Ma se i paradossi guidano il cammino, le immagini che lo seguono devono rispondere a una dinamica adattabilità, adeguata a ciò che si vede. E a ciò di cui si percepisce l’esistenza, e per la cui credibilità bisogna affidarsi a criteri fideistici.
La Fede, infine, non ha a che fare con la verità perché, come sottolinea Umberto Galimberti, parlando di Tommaso d’Aquino, essa, a differenza della scientia espressa dalla ragione umana (ex actu), rende l’intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente e che quindi gli è estraneo.
Alieno o interno, di processo o senza struttura, perché il Nulla non ci incornici, occorre abbracciarne la radicalità senza tempo. E viverne le alternanze sofisticate, che solleticano il nostro immaginario. Noi ci siamo imbarcati in questa operazione analitica e contestuale, sebbene diversificata, in questo nuovo numero.
Buona Lettura!
Virginia Cortese