conservazione e restauro di beni di interesse storico artistico. Attualmente impegnata nel restauro del monumento in bronzo e marmo del gen. Cosenz situato in Largo Pignatelli a Napoli, la sua attività a beneficio del patrimonio artistico esprime passione incondizionata verso l’opera umana. L’abbiamo conosciuta in occasione di un primo intervento dedicato all’arte del restauro sulla nostra rivista ed ora, col desiderio di approfondirne l’argomento, le abbiamo rivolto alcune domande. Ne è emerso un dialogo interessante e affascinante. Buona lettura!
Cos’è il restauro?
“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”. Nella sua “Teoria del Restauro”, Cesare Brandi, indica uno dei possibili approcci al problema della Conservazione. Il Restauro viene visto da lui stesso come testimone delle trasformazioni dell’Umanità. Proprio grazie alla sua grande sensibilità, ha cercato disperatamente di porre fine allo scempio delle opere d’arte perpetrato da improvvidi artisti o artigiani generici di buona volontà, purtroppo non sempre è riuscito a trasmettere la sua estrema sensibilità verso la Bellezza. Oggi il Restauro è, nonostante l’attenzione del mondo della cultura e non solo, ancora baluardo di ‘milizie’ legate all’immagine di sé e raramente volte alla Conservazione intesa come Ricerca. L’Azione-Restauro nasce da una concomitanza di professionisti che mettono in compartecipazione le loro competenze in nome dell’assoluto rispetto dell’oggetto della ‘querelle’. Molte personalità di spicco della Storia, intesa come Storia dell’Umanità naturalmente, hanno formulato teorie a volte recepite come punti di riferimento se non capisaldi, lo stesso Ministro Bottai, Benedetto Croce, Alois Riegl, Pietro Toesca, Roberto Longhi e non solo, per un dialogo che mi auguro, sarà sempre benevolo e coinvolgente. Per me il Restauro è un modo per conservare la memoria dei manufatti d’arte e diventare custodi delle loro ‘precedenti vite’ e dei trascorsi storici che le hanno attraversate ponendo massima attenzione alla lettura dei segnali dell’indagine scientifica.
Qual è il giusto approccio del restauratore nei confronti dell’opera d’arte?
Premetto che ogni singolo intervento conservativo è da considerarsi un unicum. La fase iniziale sarà sicuramente un approccio visivo che spesso considero come quello di un detective a cui viene chiesto di descrivere ed analizzare un certo accadimento. Si ha, quindi, un immediato contatto con l’istanza storica ed estetica dell’oggetto del contendere. In genere è palese che i piani di confronto e di approccio saranno spesso intersecati fra di loro. Da questo si deduce la necessaria conoscenza ed approfondimento. Il Restauratore dovrà approfondire non solo la storia dell’oggetto d’arte, ma sarà necessario una corretta lettura della materia di cui è costituito, delle tecniche d’esecuzione e della sua staticità per avere il giusto proseguimento del progetto di cura che verrà. Più si otterranno informazioni, da parte di tutti i professionisti che graviteranno intorno al manufatto, più il progetto sarà completo ed idoneo ad una giusta Conservazione e di conseguenza un’appagante valorizzazione.
Quali sono le tecniche utilizzate per riportare allo splendore originario tele, sculture o monumenti?
Interessante ribadire il concetto che vede l’opera d’arte come una struttura molto articolata. Nella semplicità apparente della serie di operazioni che hanno reso possibile la realizzazione della visione finale già si possono individuare le debolezze di un sistema realizzato con materiali i più diversi possibile ma anche spesso incompatibili fra di loro e nel loro ambiente naturale. Non sempre, quindi, si può parlare di tecniche standard ma di capacità acquisita di una flessibilità al servizio dei giusti ed irremovibili principi etici. Il diktat unico da adottare è il buon senso e lo studio affinato delle vernici utilizzate dagli esecutori dell’opera, la natura dei materiali assemblati, i supporti selezionati per realizzare una base solida su cui costruire l’invenzione artistica, le malte o gli stucchi preparati per una soluzione congrua dell’assemblaggio. In buona sostanza, una volta individuata la tecnica costruttiva originaria si procederà a stabilire il metodo. Tutto questo sarà il risultato di continuo studio e ricerca partendo dai manuali comunemente riconosciuti come ‘ricettari’, imprescindibile Il Libro dell’Arte di Cennino Cennini o La Diversarum Artium Schedula di Teofilo, sempre attenti alle teorie sul Restauro che si sono avvicendate nei secoli .
Quali sono le opere di particolare pregio e importanza storica restaurate da lei?
Nella mia vita da Restauratrice ho avuto l’onore di vedere affidati alle mie cure molteplici manufatti, molti importanti perché noti, altri diventati preziosi perché amorevolmente presi in considerazione. In questa ottica mi fa piacere indicarne uno per tutti, sicuramente uno di quegli oggetti che la solita critica d’arte non considera se non in modo secondario, ma che ho considerato come esempio virtuoso di una modalità di lavoro. E’ il dipinto, realizzato dal pittore P. Fallisi ed ispirato dal dipinto realizzato da Clemente Tafuri, raffigurante due volti rappresentativi di una certa epoca storica e della Regione etiope dell’Ogaden, da cui assume la denominazione la Caserma del Comando Interregionale dei Carabinieri attualmente ‘della Vittoria’ a Napoli. Questo intervento di restauro mi ha concesso di trovarmi a contatto con realtà particolarmente attente ai risvolti della Storia del nostro passato ma profondamente legate alla nostra Storia attuale. Mai similitudine di intenti sarebbe potuta essere così in sintonia. Il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri G. Nistri ha magistralmente predisposto e scelto di intervenire non su di un opera d’arte, in quanto conosciuta come tale, ma come chi non dimentica gli ultimi. Noi Restauratori non dovremmo mai dimenticare di allontanare pensieri di valutazione discriminatoria nella nostra opera di salvataggio, anche della materia di cui sono fatte le opere.
Quali criticità presenta oggi il patrimonio artistico oggetto di restauro?
Nella spasmodica ricerca di considerare nella sua molteplicità l’intero campo del mondo artistico, mai come in questa epoca sotto il mirino e a volte sotto l’attenzione sia del mondo intellettuale che dei ‘laici’, noto una grande difficoltà nel considerare il progetto finale. In alcuni casi c’è un accanimento terapeutico e quindi un’attenzione quasi virale per dei luoghi e oggetti d’arte, in altri la distrazione se non l’oblio. Si arriva in fretta alla conclusione che la pratica di rendere il patrimonio artistico facilmente fruibile può portare delle conseguenze per gli scarti termo igrometrici che comportano infragilimento dei beni. Non si deve mai dimenticare di avere a che fare con sistemi fragili ed instabili che potrebbero trovarsi a dover gestire le cause del degrado di tipo fisico, chimico e biologico, basti pensare, con un esempio per tutti, agli effetti di una illuminazione costante e discontinua sui manufatti cartacei o tessili. Il mio augurio è quello di rendere alcuni esempi virtuosi di Conservazione e Valorizzazione come dei Progetti Pilota da cui partire per consentire un giusto procedimento di utilizzo.
Restaurare un’opera significa rendere giustizia non solo all’autore ma anche al luogo che l’ha da sempre ospitata?
Attualmente assistiamo ad una sorta di stupefacente ‘transumanza’ delle opere d’arte, frutto di una generosa disponibilità della diffusione della conoscenza anche a quella fetta di Umanità che può gioire della fruizione di un bene che, altrimenti, vedrebbe come irraggiungibile. Ma, mi chiedo, nonostante la cautela che io stessa ho potuto constatare, quanto disagio si apporta agli oggetti. La Storia ci ha fatto assistere a continui spostamenti soggiogati ad istinti predatori e non, a dislocazioni e smembramenti di interi templi nelle zone più disparate del pianeta. Voglio essere ottimista e pensare che le opere d’arte sono più forti e resistenti e che ‘torneranno a morire nel luogo che le ha viste nascere’. La nostra terra, la Basilicata, è una Grande Madre che benevola tiene d’occhio le sue creature .
Quali sono le luci e le ombre di questa professione?
Sono solita affermare che mi occupo di restauro quasi a determinare una certa consapevolezza che il mio approccio potrebbe essere troppo soggettivo. Questo mestiere ti porta a raggiungere, senza mai arrivare del tutto, naturalmente, un contatto fisico ed intellettuale, non solo con l’oggetto artistico ma anche con l’autore e il mondo che di volta in volta ha accolto questa idea che si è fatta tridimensionale in modo da farsi ammirare. Da questo si deduce una condizione di eterno equilibrismo su di un percorso, in alta montagna, tra due rupi. E’ necessario sempre essere presenti a se stessi ed acquisire una lucidità data dall’acquisizione di dati certi e rispettosi. Resta, d’altro canto, lo stupore di fronte alle capacità dell’Uomo, la possibilità impagabile di rendere la visione del tutto sempre più nitida.
A quali progetti è attualmente impegnata?
Ho dato, da sempre, un taglio poliedrico alla mia attività. Questo mi ha permesso di indagare per imparare. Tanti sono i manufatti che aspetto di considerare, loro sono lì in gentile e paziente posa e contemporaneamente saranno oggetto di mie considerazioni in una serie di pubblicazioni che indicherò come Diari di Bordo e che vedranno professionalità non necessariamente in stretto contatto con il restauro ma di sicuro con lo scandagliare il conoscere.
Qual è il suo sogno nel cassetto?
Un progetto ambizioso quanto semplice. Un viaggio attraverso le intricate radici della mia terra di origine, la Basilicata. Un Voyage au centre de la terre che, come sperimentò Jules Verne, chissà, avrà come ultima meta l’isola di Stromboli.
Eva Bonitatibus