È la storia da un soldo che ribalta l’immagine della maternità: non l’attesa di una madre ma l’attesa di un padre. Che storia è quella che racconta in Mastro Geppetto?
Questa storia da un soldo è una storia che mette in discussione tutto ciò che è codificato, compresa l’immagine tradizionale della maternità. Per me, ribalta e oltrepassa anche il ruolo di genere: quello di Geppetto è davvero l’amore incondizionato di un genitore, un amore che non ha sesso o, meglio, che ha in sé tutti i sessi. Già Beniamino Placido, in un piccolo saggio, aveva affermato che Pinocchio era donna, per via di una presunta natura femminile del legno, e che andava scritto in questo modo: Pinocchio/a, anticipando di trent’anni l’uso della schwa. Nella mia storia, ad avere un cuore di legno, se vogliamo, con le proprietà del legno, resistente, elastico, accogliente e flessibile, tenace, armonico, risonante, è Mastro Geppetto. La storia che racconto non è una versione alternativa di Pinocchio, non è una variazione. È come se mi fossi imbattuto in un’altra storia, completamente diversa, che si era perduta, una storia che rovesciava tutto quello che già sapevo e che mi ha letteralmente tolto la terra sotto i piedi. E curiosamente è l’introduzione del principio di realtà in una favola, anzi, nella favola più famosa, a creare un effetto fantastico. È stata l’ipotesi di una casualità verosimile a fare esplodere di significati questo racconto e a restituirmela nella sua intatta tragicità e contemporaneità.
Si potrebbe definire una “natività crepuscolare”, nascono insieme un figlio e un vecchio padre, qual è il significato di questo evento?
Sì, in questo rovesciamento, a nascere è forse Geppetto. E mi viene in mente, mia nonna, che mi diceva che nella vita si nasce così tante volte che bisogna imparare subito ad allevarsi da sé, a non smettere mai di nascere. La storia di Geppetto è una storia di metamorfosi, di cambiamenti, di perseguimenti. Geppetto persegue i suoi desideri, quello di ribellarsi al suo destino di povero e di uomo solo. Non smette mai di desiderare di girare il mondo con una marionetta, di diventare un circense alla fine della sua vita, da mastro falegname a mastro burattinaio. Ma la sua nascita avverrà soltanto quando recupererà, per pochissimo tempo, l’uso della parola e del linguaggio. Forse il significato di questo evento e di questa storia è semplicemente questo: siamo, e diventiamo esseri umani, soltanto attraverso le parole, soltanto quando riusciamo a raccontare con le parole giuste quello che ci succede.
L’immagine di Geppetto “con quel simulacro di figlio tra le mani” mette in scena una raffigurazione sacra, una pietà paterna che oblia quella materna perché in fondo “il suo era un paese senza madonne”. Vuole essere una favola contemporanea?
La storia di Geppetto intercetta, per me, le principali questioni del nostro tempo: la solitudine, la malattia, la miseria, la vecchiaia, la follia, la violenza della società, lo scontro di classe, l’afasia. E soprattutto lo smarrimento contemporaneo, che ci riguarda tutti.
La figura del falegname Geppetto richiama alla mente quella di San Giuseppe, falegname anch’egli. Ci sono punti di contatto tra loro?
Geppetto è un diminutivo di Giuseppe, un diminutivo in burla. Lui è un san Giuseppe ancora più derelitto e umile. Sono entrambi due grandi figure della tenerezza umana e della capacità di amare.
Di legno diventano anche le parole, quelle che il povero Geppetto non riesce più a pronunciare. Cosa gli accade?
La perdita del linguaggio è il male principale. L’enorme valore simbolico della pandemia che ci ha colpiti è nel fatto che ci toglie il fiato, il respiro, le parole. Danneggia i polmoni. Questa è una società che già da prima si era ammalata di afasia e di perdita della memoria. Geppetto perde ricordi e parole in seguito a un dolore insostenibile: ma se non si hanno più parole per tentare almeno di esprimere o di dare una forma a ciò che una forma non ha, come il dolore stesso, allora questa impossibilità ti devasta.
Dipinge mirabilmente l’umanità che ruota intorno ai protagonisti. Chi sono gli altri personaggi della storia?
Geppetto finisce per incontrare gli stessi personaggi che incontrava il Collodi di Pinocchio. Ma alla luce della realtà, sono tutti diversi, gente che cerca in qualche modo di sopravvivere, che è confinata nei suoi problemi. Ogni tanto, in qualcuno si accende un lampo di solidarietà e di compassione. Una ragazza per strada, dei minatori, un fenomeno da baraccone. E quell’umanità, improvvisamente, ci riscalda.
È un libro che parla anche di naufragi, chi si salva?
Sì, è una storia di naufragi, come tutte le storie che hanno a che fare con la solitudine e la miseria. Alla fine, tuttavia, più che qualcuno, qualcosa si salva. Questa accanita testimonianza di umanità, forse, che Geppetto esprime fino all’ultimo.
Chi è il vero orfano della storia?
Forse il vero orfano di questa storia è il lettore, improvvisamente privato di Pinocchio, dell’illusione che possa esistere una marionetta magica. Ma al tempo stesso, in questo gioco ribaltato di metamorfosi, è il lettore stesso a diventare Pinocchio, il destinatario della ricerca affannata di Geppetto. È a lui che parla, questa storia di orfanità apparentemente irrimediabile, perché è un’orfanità sia dei figli che dei padri. È il lettore a ricostituire una parentela, un legame.
Qual è il significato di attesa secondo Fabio Stassi, padre di Geppetto?
L’attesa è Il luogo dove tutto è ancora possibile, e dunque è il territorio della letteratura. È vero quello che diceva Sciascia, finché si scrive si ha speranza. L’attesa è quindi per me il luogo della speranza.
Infine, è consapevole di essere un personaggio letterario?
Questa storia termina con una mia lettera di congedo a Geppetto come personaggio di romanzo. Mi sono occupato di personaggi per anni, ho vissuto con loro, potrei dire, sono stati a lungo miei compagni di viaggio, e naturalmente continueranno ad esserlo. Ma anche di questo, di una certa idea di letteratura, che avevo cercato di trattenere, ora mi sento orfano. Forse la finzione non ci basta più, o addirittura in un mondo fittizio come il nostro la finzione, l’illusione, sono soltanto mezzi per nascondere la realtà. Adesso i personaggi che mi interessano sono soltanto quelli che hanno la forza di strappare questo velo sulle cose, e quasi di autodenunciarsi, di mettersi a nudo, di dichiarare la loro verità più intima, quella piccola noce di legno che potremmo chiamare “realtà”, come Geppetto.
Eva Bonitatibus