Affascinata dalla bellezza del mondo, amo l’arte, la letteratura, il cinema, la musica.. contemplo ogni minuscolo angolo di mondo perché credo che la bellezza risieda negli occhi con i quali si guarda..
Amo viaggiare, scoprire “il nuovo” dentro e fuori..
Sposto continuamente in avanti il limite e ne analizzo la soglia!
Penso ed esisto, provo a giudicare il giusto e cerco emozioni in ogni momento della mia vita!
Il filosofo d’altronde è colui che “costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera e sogna cose straordinarie.”
Nietzsche
Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe.
(Albert Camus)
L’arte è comunicazione, una forma di linguaggio autonomo che interpreta e conosce il mondo, oltre ad essere un atto creativo libero che ci consente di esprimere noi stessi e di plasmare la realtà secondo un punto di vista personalissimo. L’intellettuale manifesta la sua visione spesso diversa dall’idea di un’arte meramente mimetica.
Una vita sociale sana si trova soltanto, quando nello specchio
di ogni anima la comunità intera trova il suo riflesso,
e quando nella comunità intera le virtù di ognuno vivono.
Rudolf Steiner
«Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce.
L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona»
Denis Diderot
Ulisse, impavido e temerario, peccando di hybris, oltrepassa le colonne d’Ercole, luogo misterioso e ignoto. Supera sé stesso. S-confina in un mondo sconosciuto. Il mare è per Ulisse una ‘tenera’ soglia. E Leopardi superando con la fantasia il limite della siepe che occultava il suo sguardo verso l’infinito, naviga nel torbido mare di sé stesso e riflette sul nostro stare al mondo. L'orgogliosa tracotanza che porta l'uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l'ordine costituito, per gli antichi, è punita o vendicata dagli dei. La modernità al contrario si fonda sull’andare al di là dei limiti, l’uomo moderno continuamente tende verso l’ignoto. Nello slancio verso la scoperta di nuove terre, il pensiero moderno ha infranto i divieti di indagare sui misteri della natura, del potere e di Dio, rivalutando così la curiosità prima condannata come “concupiscenza degli occhi”.
La maggior parte del mondo contemporaneo seppur limitata da confini geo-politici è di fatto un terreno comune. È sostanzialmente un mondo cosmopolitico quello che abitiamo nel 2020 in cui le linee sul planisfero cercano (o almeno tentano) di essere soltanto segni demarcativi per una sicurezza interpersonale.
Dunque cosa possiamo davvero intendere oggi per “confine”? in questa riflessione vorrei soffermarmi sul concetto di confine come limite.
Limite deriva dal latino limes -mĭtis. Confine, linea terminale o divisoria. In quanto linea terminale tale tratto è una soglia. Confine è, letteralmente, cum-finis, ciò che mi separa e nel contempo ciò che mi unisce, che ho in comune con l’altro, qualunque cosa l’altro o l’oltre sia o significhi. Nello stesso punto in cui io vedo un limite, un confine, qualcun altro vede l’inizio di qualcosa. Spesso la prospettiva con la quale guardiamo al mondo capovolge gli attori in campo. La filosofia in questo senso cerca di astrarre la questione particolare per renderla, attraverso l’immaginazione, quanto più universale e compie un’analisi lucida e attenta degli eventi. Il confine assegna un posto nel mondo perché uno spazio determina un individuo. Il nostro corpo esiste, inizia e finisce lì dove se ne percepisce un altro. E come gli abitanti di Flatlandia descritti da Abbott ci muoviamo a tentoni fino a riconoscere quella linea (forse spigolosa) che ci separa da un altro individuo. Tutti noi rappresentiamo un confine per noi stessi. Un individuo è un confine perché al di la di sé stesso esiste un Altro. Nello stesso modo le sovrastrutture umane chiamate in causa per autoregolarci attraverso il nomos rispecchiano questa gerarchizzazione “limitante”. Gli Stati trovano la propria ragion d’essere nella delimitazione, nell’essere separati da altre entità. Affinché ci sia identità è necessario che ci siano alterità e separazione e questo vale per l’essere biologicamente inteso quanto per le funzioni da esso esercitate. Se la separazione tra i corpi è primigenia essenzialmente legata alla natura umana, la separazione, e quindi quel limite che ci impone la società, la cultura e lo stato sono interamente artificiali. Ma facciamo un passo indietro. Maurizio Ferraris ha detto che gli stati sono oggetti sociali: hanno a che fare non solo con la geografia ma anche con la storia, con la letteratura piuttosto che con lo spirito. Lo stesso confine che in tempi lontanissimi ha diviso lo stato di natura e lo stato di diritto è alla base di tutto ciò che oggi muoviamo e ci muove. L’uomo che, per alcuni, non è naturalmente predisposto al bene, alla socievolezza e alla fratellanza nei confronti dell’altro, decide di lasciare nelle mani di un sovrano la propria “salvezza”. Il sovrano, per l’uomo, nello stato di natura, dovrebbe essere garante della libertà conservando il diritto alla vita di ciascun uomo. Ecco a voi lo Stato nelle sue prime forme rudimentali! Ciò che oggi troviamo in forme contemporanee più o meno elaborate rispetto al Leviatano hobbesiano ha avuto origine da un patto: la salvaguardia della vita stessa. Il confine dunque tra libertà e sottomissione, tra natura e nomos, tra vita e morte, tra individualismo e altruismo è scelto, rivendicato e superato dall’inizio dei tempi. Abbiamo imparato a convivere oggi con l’idea di confine, tant’è che anche soltanto pensarci può sembrarci atto banale. Sempre più esistiamo, come ha ricordato Marc Augé, sotto il segno di Hermes, dio della porta, della soglia della città, ma anche dei crocevia, degli incroci. Tra le città ci sono strade e ponti, strutture di collegamento e la pluralità umana interna è l’effetto di questo processo globalizzante. D’altronde le città non sono prive di muri, tutt’altro, alcuni vengono abbattuti, altri si elevano. Se i confini esterni sembrano scomparire, quelli interni non cessano di esistere. L’altro, poi: chi è l’altro? Ho scritto pocanzi che il confine è quella linea di inizio e fine, morte e cominciamento e quindi anche separazione e connessione. Inoltre essendo una costruzione sociale, il confine non può mai necessariamente essere immutabile. Il confine è per sua natura negoziabile ed è per questo che su quella linea immaginaria, ipotetica o reale si sono combattute da sempre le più importanti battaglie politiche. Il confine fluido è una separazione che include, è una fessura attraversabile. Braudel scriveva su quello che per me è il vero confine fluido contemporaneo: «Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre, insomma, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere». (F. Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, traduzione di Elena De Angeli, Milano, Bompiani, 2008, p. 43.)
Tuttavia, la razionalità topolitica a cui ci stiamo lentamente abituando, è quella di materializzare il confine in modo da eliminare quella possibilità di attraversamento. Questa non è l’epoca dei confini, ma è l’epoca dei muri, afferma Derrida. Lo spazio europeo è segnato da muri di cemento e filo spinato. Uno Stato-muro coincide con un corpo impenetrabile ed il prezzo da pagare per trasformare un corpo-confine in un corpo-muro è carissimo. Questo passaggio pone fine al contatto corpo a corpo degli uomini. Il muro fagocita dentro di sé i corpi non rilasciandoli. Viene meno dunque, con il muro, l’accettazione dell’alterità. L'epidemia di Covid-19 ha portato e sta portando i Paesi a chiudere abbastanza velocemente i propri confini. L'Italia ad esempio ha sospeso gli accordi di Schengen restringendo la libertà di viaggiare sul territorio nazionale (e internazionale di fatto) ai propri cittadini. È interessante capire come discuteremo del concetto di confine e che ruoli svolgeranno le frontiere nazionali alla luce della pandemia. È senz’altro utile ribadire che i confini geopolitici sono il risultato dell’opera dell’uomo, il quale plasma luoghi ed elementi antropogeografici in linee di delimitazione materiali. Inoltre, come sottolineato da P. Wlasak in un articolo apparso su Politika 2017, “il concetto di confine è legato all’atto di demarcare un’area, che deriva dal bisogno umano di protezione e sicurezza esercitato attraverso l’esercizio del controllo (e quindi una manifestazione di potere) su un territorio.” La questione è quindi come queste linee artificiali possano svolgere questa funzione di protezione in un mondo globalizzato e interconnesso nel quale i problemi non sono esterni ma intrinsecamente infra-umani e che i singoli Stati o comunità, impotenti, non possono contenere all’esterno. Ripensare il concetto di confine in questo momento storico è quanto più necessario. È necessario riflettere sull’opportunità di ridefinire i confini in modo nuovo, non più come strumento di difesa, ma come luogo di incontro e di cooperazione per affrontare questioni umane.
Cercando di concludere questa brevissima riflessioni con umano romanticismo ritengo che dovremmo imparare dalla filosofia sempre… e dal mare: «Ápeiron, lo chiamava Anassimandro, il senza limiti, in quanto è un limite lui stesso, quello più lontano e profondo nel suo essere in-finito – pone e si pone nella finitezza. Il mare è quindi la frontiera che ci pone davanti una molteplicità di limiti infinita. È il luogo in cui l’altro ci viene incontro a ritmi incerti, a tratti discontinui, amplia la possibilità di orizzonti. Simbolo della modernità e della sua libertà in-condizionata, senza territorio; là dove troviamo il non-limitato è il nulla che ci aspetta, “quel nulla di inesauribile segreto” a cui accennavamo più sopra. L’orizzonte marittimo – frontiera – è quello schermo su cui si “accampano alberi case e colli, per l’inganno consueto”, la dove noi vaghiamo lasciandoci “il nulla alle spalle”, con “terrore d’ubriaco”. Ma chi incontriamo non sempre si volta, e così rischiamo di andarcene zitti tra questi uomini, con il nostro segreto» Cfr. E. Montale, Ossi di seppia, Mondadori, Milano 2006
«Sempre amerai, uomo libero, il mare!/È il tuo specchio: contempli dalla sponda/in quel volger infinito dell’onda/la tua anima, abisso anch’esso amaro. […] E tuttavia da tempo immemorabile/vi combattete rischiando la sorte, tanto vi esalta la strage e la morte: nemici eterni, fratelli implacabili»
C. Baudelaire, I fiori del male, a cura di A. Prete, Feltrinelli, Milano 2003, p. 59.
Concetta Vaglio
Libri consigliati:
- R. Bodei, Il Limite, il Mulino, 2019
- F. Braudel, Mediterraneo, Bompiani, 2017
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