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Caos e cosmo: è questione di equilibrio!

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“Questione di equilibrio e l'equilibrio è una filosofia. (…) Come due acrobati, sospesi...”

 

Su due piatti della bilancia sono posti pesi uguali, simmetrici. La somma delle forze lascia i corpi in quiete: è equilibrio. I pianeti ruotano intorno al sole rispettando un preciso arco ellittico perché sono equilibrati dalle forze gravitazionali di attrazione e repulsione. È in equilibrio un castello di carte, un funambolo, un composto chimico, le proporzioni di una statua; è in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta, è in equilibrio la barca a vela che non naviga; è equilibrato il giudizio del saggio. La genialità di questo termine è tutta qui: l'esperienza umana si svolge in un turbinio di forze, fisiche e non fisiche. L'equilibrio non è la morte di questo tumultuoso movimento ma è lo stato di ciò che, subendo tali forze, non muta; il senso di chi, nonostante tali forze, resta padrone di sé.

Nell’Etica Nicomachea Aristotele parlando di virtù umana la definisce come punto di equilibro tra due opposti errori, l’uno dei quali pecca per difetto e l’altro per eccesso: così la virtù del coraggio, ad esempio, si ottiene evitando i due estremi della viltà e della temerarietà; la moderata irascibilità risulta da un bilanciamento tra l’indolenza e l’eccessiva iracondia, e così via. Si tratta ovviamente di un equilibrio difficile, che lo stesso Aristotele riconosce come tale, giacché non è agevole praticare quella che i Greci chiamavano mesòtes ed i Romani medietas o mediocritas, il raggiungimento cioè del giusto mezzo tra due opposti ovviamente erronei. Di questa teoria, si fecero portatori altri grandi ingegni dell’Antichità, come ad esempio Orazio, il quale ne fa uno dei principi fondamentali del suo insegnamento morale, tanto da usare una locuzione quasi ossimorica, aurea mediocritas, con la quale  afferma che la scelta di vita fondata sul giusto mezzo è la migliore, è appunto “aurea” proprio perché mediocre, in quanto al saggio non giova né l’estrema povertà né l’estrema ricchezza. Una tradizione che risale a Epicuro e Seneca, e prosegue con Montaigne, Nietzsche e Wittgenstein, tutti in erranza, in cerca di quella Lichtung (quasi) heideggeriana, un rischiaramento equilibrato.

Il profumo del caffè al mattino, il colore dei fiori appena colti, il sapore di una madeleine proustiana, i piaceri di un bagno caldo, il nostro libro preferito, le paure e le gioie di una domenica in famiglia o con gli amici, diventano strumenti per capire che l’equilibrio individuale non è una condizione permanente e originaria, ma nasce da una ricerca incessante che si muove tra positivo e negativo, fra dentro e fuori, fra anima e corpo, fra esistenza ed essenza, che impone l’attraversamento del dolore e della sofferenza e si nutre del continuo alternarsi di sentimenti, esperienze, incontri, riflessioni. Esempi di eventi finiti questi che possiamo esperire giornalmente. Tuttavia siamo consapevolmente parte di qualcosa di più grande: e l'infinito? Non ha un limite, quindi non si trova nell'equilibrio, quindi è un'incongruenza. Ma chi dice che l'infinito esista? Noi non possiamo concepirlo se non come concetto e definizione. E l'universo? Il cosmos, cioè l'ordine bello, buono e razionale del mondo, nasce sempre da uno sfondo caotico. Tutti i miti greci sulla creazione cominciano "In principio era il caos.".  Anche i filosofi pensano alla creazione del mondo, non come una creazione ex nihil (dal nulla), come ci ha abituati il pensiero cristiano, ma come la nascita dell'ordine dal caos. Per Platone in principio esisteva una materia informe, la kora, che un giorno il Demiurgo decide di plasmare e ordinare seguendo il modello delle idee iperuranie. La creazione per Platone era proprio come l'atto di un artista, che prende una materia preesistente e gli imprime una forma. Al contrario il Dio cristiano crea dal nulla, dato che nulla gli preesiste. Il Dio cristiano, che è verbo, logos, non ha un caos che lo precede. Il Logos cristiano si presenta assoluto, già fatto, non ha una storia, non nasce da una materia caotica, non si conquista faticosamente come il cosmo greco.  Secondo il pensiero greco, il caos non fu mai definitivamente superato con la costruzione del cosmo, ma esso continua a esistere come fondo su cui si regge il cosmo stesso. Il binomio nietzschiano apollineo/dionisiaco, ci conferma che il caos non è mai superato del tutto, ma va tenuto in equilibrio costantemente.

Dunque dentro la lotta tra caos e cosmo abita necessariamente l’uomo, animale in eterno conflitto tra l’infinito e il finito che continuamente oscilla tra la ricerca dell’ordine e il fascino del caos.

Il concetto di armonia, come delicato gioco di opposti, si esprime in occidente in una visione tipicamente greca della realtà, con il significato di connessione, congiuntura, ma soprattutto di ordine, legge, nomos. Turner, uno fra tanti, ha basato tutta la sua arte sul sentimento che l’uomo prova davanti all’immensità del creato, una sorta di senso di disagio causato dalla consapevolezza di non essere altro che una macchia di colore nell’enorme quadro che è la natura. Gli studiosi hanno definito i suoi paesaggi “sublimi” (e Kant confermerebbe) non solo perché eccelsi, ma principalmente perché in grado di suscitare sensazioni all’io interno di ciascuno, lasciando attoniti di fronte all’impossibilità di comprendere la grandiosa potenza della natura. Il quadro che si dipingerebbe nel XXI secolo risulterebbe completamente diverso. Anzi, si potrebbe parlare di tele in cui il rapporto uomo-ambiente è ormai inverso ed unilaterale ed il senso del sublime è stato definitivamente dimenticato. Pascal scrive che l’uomo è definito dalla sua tensione verso l’Infinito, la Felicità, il Tutto; e dal suo limite, la sua fragilità, la sua finitezza. L’uomo è l’una e l’altra cosa: non aut aut, ma et et. Egli oscilla tra il desiderio di conoscere tutto e l’ignoranza; tra il volere tutto e il volere nulla. In altre parole, egli è un essere che non si autofonda, non si autogiustifica. Non è l’Essere, ma neppure il Nulla. È chimera, caos e prodigio; gloria e rifiuto dell’universo, verme della terra e depositario del vero. È un punto nello spazio immenso che ci circonda, un istante nel tempo e nei millenni della storia; eppure con il suo pensiero abbraccia spazio e tempo. Questa è la sua natura, di “canna pensante”. Risiedendo nell’occhio del ciclone del mondo, potremmo dire che è l’Equilibrio per eccellenza! Tuttavia nel momento in cui ci accorgiamo del divario che c’è tra noi e il mondo, tra noi e noi, tra noi e ‘Dio’ allora possiamo provare stupore, possiamo gettare uno sguardo attorno a noi come se fossimo davvero capaci di vedere ordine e caos per la prima volta, reinventarci, costruire il nostro equilibrio nel mondo!

di Concetta Vaglio

Concetta Vaglio

"Dottore di Ricerca (in fieri) in Filosofia presso Unibas. 

Affascinata dalla bellezza del mondo, amo l’arte, la letteratura, il cinema, la musica.. contemplo ogni minuscolo angolo di mondo perché credo che la bellezza risieda negli occhi con i quali si guarda..

Amo viaggiare, scoprire “il nuovo” dentro e fuori..

Sposto continuamente in avanti il limite e ne analizzo la soglia! 

Penso ed esisto, provo a giudicare il giusto e cerco emozioni in ogni momento  della mia vita! 

Il filosofo d’altronde è colui che “costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera e sogna cose straordinarie.”

Nietzsche

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