Giornalista pubblicista, batterista sconveniente.
Leggo. Mi incuriosisce la fisica quantistica. Mi piace il jazz. Scrivo in privato, uso il Garamond. Credo nella sezione aurea, nell’entanglement, nel dualismo onda particella. Preferisco i film francesi, i cibi semplici, le persone semplici, i problemi semplici.
Il mio orario del cuore sono le cinque e venti. Detesto usare Domodossola nel gioco “Nomi, cose, città” e vivrei volentieri a Londra, Parigi e Roma, come la maggior parte delle vallette degli illusionisti. Fin da ragazzo ho l’età che descrive J. L. Borges in Limites. Se non svolgessi un lavoro in ambito giuridico legale, probabilmente avrei voluto essere quello che fischia nella canzone Lovely head dei Goldfrapp.
Occhi aperti. Quattro e venti. Buio. Cinque. Lampadina dodici watt sui fuochi. Clic.
Comodo nella curvatura inversa dello spazio tempo che ha come fulcro la poltrona di cuoio nel salottino di attesa,
Quando mi trovai di fronte gli altissimi scaffali, ridondanti di dorsi però vivacemente colorati, e la vasta superficie degli espositori orizzontali, dove gli albi e i volumi erano sistemati come vinili in profonde cassettine di legno, appena entrato nel reparto delle bandes dessinées,
Usare bene le parole talvolta è causa e talaltra effetto dello sviluppare buone idee. Sia le parole sia le idee pare abbiano le proprie stagioni; ma le stagioni delle une e quelle delle altre non sempre coincidono, non necessariamente seguono i medesimi cicli.
Nel duemilanove, che sembra una data più prossima all’ultima glaciazione che ad oggi, Robert Darnton, studioso, accademico e giornalista americano, pubblica una raccolta di scritti, dal titolo “The Case for Books – Past, Present, and Future”, che ben presto diventa una lettura d’obbligo per quanti si interessino al mondo della parola a stampa.
Non leggo narrativa dal venti febbraio duemilasei. Da allora mi nutro soltanto di saggi, le eccezioni sono state rare, rarissime.
Due piccoli pomeriggi torinesi liberano scampoli di tempo da impegni di lavoro. Illudendomi di riuscirci, nella complessità data dagli orari, dal caldo improvviso e deciso e dalla mia indole profondamente meridionale che mi spingerebbe verso l’immobilità contemplativa, mi guardo intorno. Tra le mille, colgo alcune interessanti prospettive.
In fatto di paragoni sbagliati, se fosse questa una rubrica di vini, ben si comprenderebbe, di quando in quando, qualche articolo sui bicchieri.
Spesso si ha come l’impressione che tutto accada molto rapidamente, troppo semplicemente, senza nessun motivo plausibile e senza alcun significato vero. In diversi casi sembra quasi che la causa preceda l’effetto per pura provvidenziale avventura.
Posto che per mio limite non mi riesce di stabilire quand’è che sia cessata ogni forma di occupazione, tale da potersi considerare il popolo e la nazione effettivamente sovrani nelle proprie scelte, tra le due recenti trascorse ricorrenze del venticinque aprile e del primo maggio, ecco che mi veniva più facile qualche riflessione sull’ultima. E comunque, il tempo gioiosamente liberato dalla giornata non lavorativa, volentieri l’ho speso nella lettura/rilettura di un paio di volumi che sono ormai come dei classici.